La parola "paesaggio" è ormai un termine dai molti significati. Nel paesaggio, infatti, "vediamo" (ricerchiamo) natura, cultura, lavoro dell'uomo, istanza artistica, i riflessi delle aspirazioni e dei sentimenti umani. Ogni visione paesaggistica, dunque, diventa, in qualche modo, lo sguardo con cui le nostre emozioni intendono fissare la realtà. Ed avviene, di fatto, che nessun ambiente trovi, poi, una descrizione del suo "vero", quanto, piuttosto, un racconto di ciò che esso evoca. Persino la descrizione geografica – ritenuta, ingenuamente, oggettiva – non resta immune da visioni ideali ed anche ideologiche, a seconda che si adottino categorie di scienza naturale o di scienza umana.
Dunque il paesaggio, al di là della sua valenza estetica, è uno stratificato insieme in cui, lungo il tempo, natura e uomo e, quindi storia e civiltà particolari, hanno interagito e continuano ad agire. Tutto ciò a significare che nessuna realtà paesaggistica può essere ritenuta immutabile. E forse è proprio dentro questo stratificato divenire che risiede il mistero di ciascun paesaggio, la sua connotazione "interiore" ed estetica. Cioè, quell'essere specchio, nell'oggi, di una civiltà, di una cultura, di una memoria collettiva, di una esteriorità, che, in vario modo, si sono formate generando morfologie di terra e di anima. Così il paesaggio acquista anche una valenza immateriale. I luoghi, pertanto, non restano immutabili, dati una volta per tutte, ma "diventano", si trasformano lungo il tempo, per ciò che l'uomo vi costruisce e vi "vede". Essi, allora, non sono soltanto quello che mostrano, ma anche quello che sanno suscitare in chi li abita, in chi li visita. Ciascuno di noi, infatti, dinanzi ad un paesaggio, dentro uno spazio naturale, urbano, architettonico…, porta e riflette là il proprio mondo culturale ed interiore, le aspirazioni, i sentimenti; innesta, in quel luogo, la propria visione della vita, la sintesi della sua vicenda personale.[…]