In tedesco “noia” si dice Langweile, alla lettera “tempo lungo”. E in effetti, quando ci si annoia, il tempo pare scorrere lentissimo, come sempre accade ogniqualvolta non ci sentiamo intimamente coinvolti in quello che facciamo. Né rivolti al passato né protesi verso il futuro, viviamo sprofondati nella dimensione temporale del presente, presente immobile, presente infinito, che Friedrich Nietzsche in un denso aforismo della Gaia scienza accostava a una “bonaccia dell’anima”. Infatti, qualunque sia la forma che la noia assume (psicologica, psicopatologica, esistenziale, metafisica), quando ci assale, siamo colti da un senso di vuoto e di insoddisfazione, siamo risucchiati – ha scritto lo psichiatra Eugenio Borgna – “ai confini della tristezza”, dove non spirano venti e l’aria è ferma. Sì, la noia è proprio una “bonaccia dell’anima”.
Della vita è l’adolescenza la fase nella quale questo stato d’animo con maggiore frequenza e con maggiore intensità riempie di sé l’interiorità di una persona. Da soli o in piccoli gruppi, al chiuso di una stanza o sulle panchine di un parco cittadino, mentre percorrono avanti e indietro le vie del centro o passano da un canale televisivo all’altro, da un sito del web all’altro, i ragazzi si annoiano, si annoiano mortalmente. In loro è presente la voglia di fare, c’è il bisogno di fare, ma manca la meta, manca il progetto. Creature eminentemente desideranti, gli adolescenti o non fanno più l’esperienza dell’attesa, dal momento che possono subito avere quello che vogliono, oppure non organizzano le loro energie verso uno scopo che sia veramente profondo e autentico. Ma cosa significa che uno scopo è autentico? Significa che esso non è il frutto di una acritica imitazione della condotta altrui, bensì discende da un’intenzione personale e sincera. Quello del Così fan tutte è un dolce pensiero finché ci richiama alla mente il nome di Mozart e il genere operistico dell’opera buffa; ma alimenta lo sconforto quando si traduce nella giustificazione di un comportamento o di un’azione, che, inevitabilmente, proprio per non essere stati scelti da noi, non sono né meditati né inseriti all’interno di un nostro progetto di vita, bensì scadono al rango di mere forze esterne, che ci trascinano in una sorta di asfittica e anonima no man’s land.
D’altra parte, per conoscere i propri bisogni autentici occorre imparare a leggersi dentro, a scendere nelle profondità del proprio io. Impresa non certo facile, dal momento che se da sempre è stato forte nei giovanissimi il bisogno di essere accettati dal gruppo di appartenenza, tuttavia gli ultimi decenni hanno visto la crescita del potere di condizionamento esercitato dalla moda e dal linguaggio della pubblicità, cui si è aggiunto, negli ultimi tempi, il dominio pressoché incontrastato della cultura visiva su quella scritta. Di conseguenza, appare naturale agli adolescenti impiegare il proprio tempo assecondando lo stile di vita che le canzoni, le serie tv, i film, i video, gli spot propongono in continuazione; anziché all’interno, lo sguardo viene gettato all’esterno. E poiché il quadro che emerge – a livello di relazioni interpersonali, tempo libero, divertimento, abbigliamento, scuola, valori di riferimento – risulta estremamente uniforme, finisce che a Firenze come a Palermo, a Londra come a Madrid, a New York come a Tokyo, a Melbourne come a Città del Capo, i ragazzi e le ragazze fanno quello che i loro coetanei fanno, senza interrogarsi se ciò stia realmente loro a cuore, li interessi e, se non li fa crescere, per lo meno li diverta. Fino a quando, all’improvviso, un senso di insoddisfazione, di fastidio, di demotivazione, piombandogli addosso come un macigno, pone il giovane al cospetto della noia, lo fa sentire fratello di Leopardi, quel Leopardi che giudicava questo sentimento un male peggiore del dolore e che nelle “Operette morali” cercava di individuarne alcuni possibili rimedi (il rischio, il sogno, l’amore).