Avete presente quando qualcuno deve dire una parolaccia e regolarmente la anticipa con la formula “Scusa il francesismo…”? Un modo di dire legato al fatto che guardiamo ai francesi come a un popolo raffinato nei modi sia per la lingua sia per l’intercalare e quindi tentiamo di attenuare la volgarità che diremo provando a sdrammatizzarla con questo sistema.
Ecco, per analogia mi viene da dire che leggendo i romanzi contemporanei tutti i personaggi sono francesi, a volte anche l’io narrante lo diventa. Ora, intendiamoci, io capisco che in certi ambienti non si possa parlare una lingua raffinata e sia più verosimile che si parli in maniera colloquiale e inelegante, ma perdonatemi se vi domando dove stia l’abilità nell’essere uno scrittore se scrivere deve diventare un turpiloquio molto simile a quello che usiamo nel parlato quotidiano.
Uno scrittore non dovrebbe avere uno stile riconoscibile, elegante, studiato, attento al suono delle parole, all’esattezza dei vocaboli che sceglie, all’ampiezza del lessico? E allora perché oggi la maggioranza di romanzi in circolazione è scritta con un vocabolario che non supera le centocinquanta parole di cui circa un terzo è rappresentato da quella di cinque lettere che comincia per C e finisce per O che ha ormai verbi e aggettivi derivati?
E poi vai alla presentazione di un romanzo scritto in questo modo e ti trovi al cospetto dell’autore che si propone con gli occhialini da intellettuale e cita Whitman… ora, dico io, un po’ di coerenza! Se proprio devi scrivere con centocinquanta parole di cui cinquanta sono rappresentate da derivati di C***O, forse potresti anche proporti in maniera più informale e possibilmente scusarti per aver scritto abusando del francese!