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Susanna Tamaro all’amico perduto: “Il tuo sguardo illumina il mondo”

Di Pierluigi Cappello già avevamo avuto modo di scrivere l’anno scorso, a pochi giorni dalla sua scomparsa avvenuta per malattia a soli cinquant’anni. Lo ricordammo come un poeta autentico, artefice di una scrittura di grande nitore e profondità. Uno di quei poeti che hanno saputo restituire alle parole («penso che le parole rincorrano il silenzio») tutta la loro verità. Tra i progetti di Cappello rimasti incompiuti c’era un libro da scrivere insieme a Susanna Tamaro, sua amica. Ora quel libro ha visto luce solo per mano della Tamaro. Vi si ripercorrono gli anni della loro amicizia, delle reciproche riflessioni che intrecciano avvenimenti del difficile tempo presente con quelli delle loro vite segnate per entrambi da malattia, sofferenza, solitudine (“Gli anni della nostra amicizia sono stati per me gli anni della grande libertà. Libertà di essere come sono”). E’ una lunga e toccante lettera di confidenze, pensieri, interrogativi sul senso e il mistero della vita. E’ un libro in cui si ricorre alle parole che offrono salvezza, agli sguardi sulle cose che commuovono e rasserenano: “Caro Pierluigi, fino a ieri la casa e i campi erano immersi nel gelo. Se uscivo a camminare, a ogni mio passo il suolo scricchiolava. Se entravo nel bosco, mi avvolgeva quel silenzio che solo l’inverno profondo sa donare al mondo. Ogni cosa è sospesa, ogni cosa è raccolta.  È questo il tempo che amo. Il tempo in cui il pensiero si fa chiaro e il cuore viene preso da una leggerezza infantile. Non sembrano esserci ombre, né minacce di crolli improvvisi. Tutto è luminoso, e di questa luce non è possibile dubitare.” E’ un libro struggente, in quanto frutto di una promessa stipulata quando sulla vita già incombevano le ombre del suo contrario.
 
***
 […] Quando un mondo è già grande dentro, non ce ne sta un altro. E il nostro mondo era questo. Il fuoco e la pietra, l’acqua e la neve. La diversa ombra e il diverso rumore delle fronde. Le piccole creature che zampettano nei cespugli e sugli steli, e quelle più grandi e complesse che camminano sul prato. Non aver paura dell’infanzia, non aver timore di ciò che ai suoi occhi si svela.
Ora ha quasi smesso di nevicare, vedo uno scoiattolo scendere svelto giù dal tronco del vecchio castagno. Con le sue zampette scosta la neve, muovendo le foglie alla ricerca di qualche riccio di castagna. Se fosse vera la legge della metempsicosi, vorrei poter trasmigrare proprio nel corpo di questo piccolo roditore e vivere sempre così, sospesa tra la terra e il cielo.
Se fossi stata uno scoiattolo, per il tempo duro della tua assenza, avrei previdentemente nascosto da qualche parte una nocciola, una ghianda, qualcosa che mi avrebbe ancora dato forza.
Invece sono un essere umano e non ho nascosto niente. A un tratto c’è stata la nudità, la solitudine. E in quella nudità, in quella solitudine, continuo a vivere.
Quando apro il cellulare mi appaiono subito i numeri preferiti. Uno di questi è il tuo. Se ancora potessi chiamarti, se la tua voce così cara e amata ancora potesse dire: «Pronto?» sarebbe lei la mia ghianda.
Una conoscente francese mi ha raccontato che, a causa di uno sciopero, non era stata presente alla morte del marito in ospedale. Una volta tornata a casa, il telefono aveva iniziato a squillare con inusuale insistenza. Dato che non accennava a smettere, di malavoglia era andata a rispondere, ma la ritrosia si era trasformata in panico quando dall’altro lato aveva sentito una voce dire: «C’est moi…».
Quante cose sappiamo davvero della nostra vita?
E quante ne teniamo lontane, per timore di ciò che ci potrebbero rivelare?
La ragione ha innalzato alte mura intorno a noi, e forse soltanto quando restiamo soli ci rendiamo conto che il perimetro della fortezza è in realtà quello di una prigione.
Dato il maltempo che imperversa sull’Italia, penso che anche a Chiusaforte oggi abbia nevicato. Immagino il candore che avvolge il paesaggio e il rumore delle auto, dei camion e del treno che si fa più lontano.
 
Chiusaforte è tutti i ritorni che mi allontanano
mentre nevica il tempo sulla neve che sei stato
sui passi poi contati e poi coperti dal bianco
e c’è un piangere nascosto nel celeste
nelle pigne ai piedi degli abeti
nel silenzio che sgretola gli animi e qualche volta
ci spinge in alto, in alto
dove ci sono parole che erano sassi
dette di punto in bianco, nel freddo
lasciate alla confidenza delle nuvole.
 
 [da Il tuo sguardo illumina il mondo di Susanna Tamaro, Solferino, 2018]  

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