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“Spoon River”, Edgar Lee Masters e la collina dei dormienti

Da oltre cento anni i morti di “Spoon River” ci ammoniscono con le loro storie. Secondo Cesare Pavese (fu lui a far scoprire il libro di Lee Masters ad una giovanissima Fernanda Pivano, poi diventatane la prima traduttrice italiana) in quelle pagine si trova la “consapevolezza austera e fraterna del dolore di tutti, della vanità di tutti”. Almeno fino agli anni Settanta dello scorso secolo, il libro venne letto anche in una chiave morale, se non addirittura politica. Vi si rappresentava, infatti, una “piccola America”, una società chiusa e ipocrita che, secondo lo stesso Pavese, viene giudicata e inscenata “in una formicolante commedia umana dove i vizi e il valore di ciascuno germogliano sul terreno assetato e corrotto di una società, la cui involuzione è soltanto il caso più clamoroso e tragico di una generale involuzione di tutto l’Occidente”. Non sappiamo quanto questo giudizio possa essere spinto fin dentro il disordinato teatro dei giorni nostri. Sta di fatto che gli spettri di Spoon River non hanno ancora finito di raccontarsi. Dimesse ma tenaci, quelle voci insinuano anche il tempo presente. Non più come sperdute vicende personali, ma stavolta universali. Ogni epigrafe è dunque una sentenza rivolta all’umano vivere. Sulla collina di Spoon River dormono tutti dentro l’ossimoro di una inquieta pace. Chiedono un supplemento di vita o per lo meno di compassione, non solo per se stessi, ma per il mondo intero.
 
 
Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
la tenera, la semplice, la vociona, l'orgogliosa, la felice?
Tutte, tutte, dormono sulla collina.
Una morì di un parto illecito,
una di amore contrastato,
una sotto le mani di un bruto in un bordello,
una di orgoglio spezzato, mentre anelava al suo ideale,
una inseguendo la vita, lontano, in Londra e Parigi,
ma fu riportata nel piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag –
tutte, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono zio Isaac e la zia Emily,
e il vecchio Towny Kincaid e Sevigne Houghton,
e il maggiore Walker che aveva conosciuto
uomini venerabili della Rivoluzione?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Li riportarono, figlioli morti, dalla guerra,
e figlie infrante dalla vita,
e i loro bimbi orfani, piangenti –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dov'è quel vecchio suonatore Jones
che giocò con la vita per tutti i novant'anni,
fronteggiando il nevischio a petto nudo,
bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti,
né al denaro, né all'amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia delle fritture di tanti anni fa,
delle corse di tanti anni fa nel Boschetto di Clary,
di ciò che Abe Lincoln
disse una volta a Springfield.
 
[“La collina” da Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master, trad. di Fernanda Pivano]  

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