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Sandro Penna, il poeta antinovecentesco dal linguaggio “facile”

Sandro Penna fu poeta appartato, ai margini della società letteraria, non sempre considerato al pari del suoi valore. Forse perché – come scrisse di lui Cesare Garboli – “è il solo poeta del Novecento il quale abbia tranquillamente rifiutato, senza dare in escandescenze, la realtà ideologica, morale, politica, sociale, intellettuale del mondo in cui viviamo”. Il suo linguaggio è facile (antinovecentesco), bada a descrivere, raccontare la realtà. E lo fa con testi brevi, di notevole rigore formale e ritmico. Penna – dice ancora Garboli – “trascrive direttamente dal vissuto, riducendo a pochi suoni inimitabili una tastiera letteraria fatta di combinazioni miracolose di grazia visiva, pennello impressionista, traduzione ‘greca’, stile narrativo, canzonetta sentimentale”.
 
Era l’alba sui colli, e gli animali
ridavano alla terra i calmi occhi.
Io tornavo alla casa di mia madre.
Il treno dondolava i miei sbadigli
acerbi. E il primo vento era sull’erbe.
Altissimo e confuso, il paradiso
della mia vita non aveva ancora
volto. Ma l’ospite alla terra, nuovo,
già chiedeva l’amore, inginocchiato.
Cadeva la preghiera nella chiusa
casa entro odore di libri di scuola.
Navigavano al vespero felici
gridi di uccelli nel mio cielo d’ansia.
 
[S. Penna, da Poesie, Garzanti, 1989]  

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