Sai… io scrivo per me!

E allora: auguri! Se scrivi per te, direi che è ottimo: prima di tutto risparmi il tempo della ricerca di una casa editrice, poi eviti il problema delle recensioni critiche, inoltre, a ben guardare, potresti persino abbattere del tutto i costi di carta, inchiostro, consumo di elettricità del pc, non scrivendo per niente e magari raccontandoti mentalmente, prima di dormire, la tua fantastica storia per episodi. Direi… eccellente! Come si fa a credere di scrivere se non lo si fa per un pubblico? Lo scrittore a zero emissioni scrive per sé e tutti gli altri sono solo dei sempliciotti che ritengono di dover fare uno sforzo superiore per tentare di farsi capire, per far sentire al lettore le loro stesse emozioni. Insomma, sono solo dei folli, quelli che provano a rendere il proprio messaggio chiaro a un pubblico vasto o che stanno ore a spulciare dizionari per essere certi che solo quel termine abbia la sfumatura di significato desiderata e non ce ne sia uno migliore. Tutti sciocchi! Lui invece no, lui scrive per sé e si definisce anche scrittore. In effetti, è troppo colto, troppo avanti, troppo superiore e profondo per sporcarsi le mani e cercare di farsi comprendere dai lettori. Insomma come se un attore si mettesse davanti allo specchio e si recitasse il monologo dell’Amleto per sé stesso o come se un pianista si registrasse mentre suona e si riascoltasse. Ma che senso ha? La scrittura è condivisione, è andare incontro alle critiche, è proporre la propria visione del mondo e anche essere disposti a metterla in discussione. Sentite, amici miei, dentro ognuno di noi c’è un Oscar Wilde che dice: “Non viaggio mai senza il mio diario. Bisogna sempre avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno”. Tuttavia, faccio sommessamente notare che lui, quando proferì questo celebre e gustoso aforisma, era già Oscar Wilde.