Ormai da anni la narrativa contemporanea è caratterizzata da un abuso di parole triviali e di espressioni di linguaggio colloquiale. Il contrasto con lo stile dei romanzi del Novecento è addirittura stridente: autori come Buzzati, Calvino, Moravia, Morante, ma anche Maraini o Baricco sembrano non sentire la necessità di ricorrere a uno stile volgare per mostrare moti di rabbia, di impotenza o per caratterizzare il linguaggio di personaggi di estrazione sociale più bassa. Gli autori di oggi, giovani e meno giovani, non riescono invece a farne a meno. L'impoverimento del lessico è talmente generalizzato da portare persino i miei allievi di Scrittura creativa a ritenerlo inevitabile. Mi chiedo onestamente il motivo per cui una lingua ricca e varia come la nostra non possa offrire altre possibilità di espressione che invece i grandi autori di una volta sapevano cogliere senza difficoltà. Scrivere non dovrebbe essere invece proprio la ricerca della parola giusta, dell'espressione più consona a esprimere uno stato d'animo senza ricorrere alla volgarità del linguaggio parlato? Scrivere non dovrebbe essere una questione di stile?
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