Se è vero che l’approccio alla televisione è molto cambiato negli ultimi anni con la diffusione di Internet, bisogna ammettere che la radio, lungi dal vedere un calo d’interesse da parte dell’utenza, è semmai diventata più presente nelle nostre case, nel nostro lavoro e nel nostro tempo libero. Come spiega infatti Tiziano Bonini, nell’introduzione al volume di Enrica Atzori “La lingua della radio in onda e in rete” (Franco Cesati, 2017, Collana Pillole), «esistono oggi tanti modi per restare connessi ai contenuti di un’emittente: ascolto in FM, ascolto online, podcasting, social media, video, chat. Il pubblico connesso in rete non è detto che ascolti la radio, ma ne segue comunque i contenuti su altre piattaforme, ed è molto più “rumoroso” di un tempo, nel senso che produce anch’esso molti più contenuti in termini di testi, immagini e video che invia alla radio o pubblica direttamente sui suoi profili social. Il confine tra chi parla e chi ascolta non è mai stato così labile» (p. 14).
Ed è proprio su questo confine che sembra incentrarsi il saggio di Enrica Atzori, piacevole da leggere e approfondito, che in un primo tempo ripercorre le tappe della storia della radio, per poi dare uno spaccato della situazione radiofonica italiana, con le sue emittenti e la programmazione riservata ai vari ambiti (informativo, culturale, musicale, di intrattenimento, ecc.), fino ad approdare a un’attenta analisi linguistica, paralinguistica, fonetica e sintattica della lingua radiofonica. Il lettore viene gradatamente sospinto verso un livello di approfondimento maggiore, condotto per mano a cogliere elementi del “parlato radiofonico” ai quali si è ormai assuefatto, mantenendo quindi di solito un atteggiamento acritico. L’indagine di Enrica Atzori è invece volta a renderci consci della situazione, muovendo dalla considerazione per cui se restano ancorati a modelli tradizionali i programmi culturali o informativi, «al livello più alto di improvvisazione si pongono i programmi-contenitore d’intrattenimento musicale e leggero: i conduttori in studio imbastiscono, sulla base di un canovaccio, un dialogo fra loro e con gli ascoltatori, con una prevalente finalità di contatto e di divertimento. Le scelte linguistiche si avvicinano all’interazione verbale quotidiana, con l’adozione di un registro giovanilistico informale o trascurato, di espedienti linguistici e paralinguistici che realizzano spesso un effetto insistito di “iperparlato”» (p. 47). Questa forbice che si instaura tra la lingua dell’intrattenimento e quella dell’informazione è dunque basilare per comprendere quali siano i registri, il lessico e il tono che vengono giornalmente utilizzati in radio e come siano significativi ed esemplificativi della mentalità e del modo di pensare della nostra epoca.
Un volume quindi ancora una volta di grande attualità che permette al lettore di acquisire gli strumenti per analizzare e comprendere la comunicazione radiofonica quotidiana e giungere a un grado di maggiore consapevolezza dei grandi cambiamenti che giorno dopo giorno vive la nostra lingua.