L’Orlando furioso ha cinquecento anni, ma è di una modernità sorprendente, quasi un romanzo novecentesco. Per come gioca con le analogie, con la sfera individuale e universale, viaggiando nel tempo e nello spazio. Ritenuta opera di evasione ci volle Hagel per far notare che l’Ariosto vi sviluppava, invece, una sottile critica a un’epoca e a valori (quelli della cavalleria) ormai tramontati. Grande storia d’amore e d’avventura. Si noti anche la sottigliezza psicologica con cui Ariosto descrive le diverse fasi dell’innamorato ferito dal tradimento: il tentativo di negare l’evidenza, la ricerca di un colpevole, la devastazione del dolore, il desiderio di distruggere se stessi e il mondo, la fuga nella follia.
Merita rileggere i versi che raccontano di quando Orlando, in una radura che era stato luogo d’incontro tra Angelica e Medoro, scopre gli indizi della passione tra i due, testimoniata da messaggi d’amore incisi su tronchi degli alberi e sulle pareti delle grotte. E ancora peggio allorché, chiesta ospitalità a un pastore, scoprirà che il letto su cui dorme, è quello nel quale i due amanti avevano trascorso la loro prima notte nuziale. Perciò dà di matto.
Quel letto, quella casa, quel pastore
Immantinente in tant’odio gli casca,
Che senza aspettar luna, o che l’albore
Che va dinanzi al nuovo giorno nasca,
Piglia l’arme e il destriero, ed esce fuore
Per mezzo il bosco alla più oscura frasca;
E quando poi gli è aviso d’esser solo,
Con gridi ed urli apre le porte al duolo.
Di pianger mai, mai di gridar non resta;
Né la notte né ’l dì si dà mai pace.
Fugge cittadi e borghi, e alla foresta
Sul terren duro al discoperto giace.
Di sé si meraviglia ch’abbia in testa
Una fontana d’acqua sì vivace,
E come sospirar possa mai tanto;
E spesso dice a sé così nel pianto:
– Queste non son più lacrime, che fuore
Stillo dagli occhi con sì larga vena.
Non suppliron le lacrime al dolore:
Finir, ch’a mezzo era il dolore a pena.
Dal fuoco spinto ora il vitale umore
Fugge per quella via ch’agli occhi mena;
Ed è quel che si versa, e trarrà insieme
E ’l dolore e la vita all’ore estreme.
Questi ch’indizio fan del mio tormento,
Sospir non sono, né i sospir sono tali.
Quelli han triegua talora; io mai non sento
Che ’l petto mio men la sua pena esali.
Amor che m’arde il cor, fa questo vento,
Mentre dibatte intorno al fuoco l’ali.
Amor, con che miracolo lo fai,
Che ’n fuoco il tenghi, e nol consumi mai?
[L. Ariosto, Orlando furioso, XXIII, 124-127]