“Scrivere è obbligarsi a riscoprire la realtà, a guardarla con occhi diversi”, queste le ragioni della poesia di Elisa Biagini. Versi che con linguaggio asciutto e franto invitano a osservare (a reinventare) la quotidianità oltre l’apparenza. Per arrivare a sentire la vita nascosta delle cose, per farci consapevoli di quanto il nostro privato abbia il respiro dell’universalità. Poesia, dunque, per “tradurre” tutto ciò, per rivelarlo. Non per consolare il lettore – dice Biagini – ma per farlo riflettere. E poiché una siffatta parola poetica attinge dalla concretezza della vita, essa è inscindibile dal corpo, mezzo e sede di relazione con gli altri. Sarà quindi “non parola orizzontale che sommerge, / ma il bianco dei margini, la pausa che / copre l’assenza tra te e me”.
Quando l’occhio si oscura
non cercare il calore della
mano che la palpebra abbassa,
scappa la melodia della parola,
la voce che ti sorride coi denti rifatti.
Se la lingua è mondo, è
specchio, trovatici con la pupilla
spalancata, pescaci da quel nero
quell’inchiostro che dica la parola
verticale. Alla sua ombra crescono
domande, si fa spazio
al respiro del pensare.
Non parola orizzontale che sommerge,
ma il bianco dei margini, la pausa che
copre l’assenza tra te e me.
[Elisa Biagini, Da la crepa, Einaudi, 2014]