Nel Regno Unito è un gran daffare. Ricorrono i 400 anni dalla morte di William Shakespeare ed è tutto un fervore di iniziative per tributare massimi onori al padre della lingua inglese, a colui che ha coniato espressioni come “once more unto the breach” (“ancora una volta sulla breccia”). Ma soprattutto al drammaturgo che con la sua opera ha fornito all’umanità una mappatura completa dei sentimenti: amore, passione, gelosia, il dubbio, la lotta per il potere, la fugacità della vita e l’inesorabilità della morte, l’istanza etica, gli inafferrabili moti della psiche, il paradosso e l’ironia. Dalle sconfinate pagine shakespeariane torna significativo, oggi, estrapolare un piccolo passo. Ciò che a un certo punto dice Isabella in “Misura per misura”.
«Se gli uomini potenti della terra potessero tuonare come Giove, Giove stesso più non avrebbe quiete, perché ogni petulante gerarchetto userebbe il suo cielo per tuonare, soltanto per il gusto di tuonare. Tu, cielo, nella tua misericordia, con l’aguzza, sulfurea tua saetta spacchi piuttosto la nodosa quercia refrattaria anche ai colpi della bietta, che non il gracile e tenero mirto; e l’uomo, invece, nella sua alterigia, sebben vestito d’un potere effimero, e tanto più ignorante della cosa di cui dev’essere tanto più certo, ossia la vitrea sua fragilità, si dà, al cospetto dell’eccelso cielo, a somiglianza di rabbiosa scimmia, in lazzi sì grotteschi e stravaganti, da far venire le lacrime agli angeli, che, se fosser provvisti della milza, si muterebbero tutti in mortali, per via che scoppierebbero dal ridere.»