Sono stati giorni di nebbie, vere e metaforiche. Di notte la luce gialla dei lampioni punteggiava piccoli universi desolati, sguarniti. Cortina pietosa a velare tutto ciò che in questo presente è brutto, imperfetto, incompiuto. La nebbia rende difficili le nostre fughe, fa ripiegare su se stessi, sui propri sensi di colpa, su esami di coscienza che solitamente la fretta pone in deroga. Non so se per la complicità della nebbia, delle tristi luci della strada, di uno sguardo sulle cose più realistico della realtà, mi sono venute in mente alcune pagine di Mauro Covacich, come quelle – citazione d’autore – sulla dolente sterilità di una generazione che ha rinunciato ai figli per la propria ambizione. Sono così andato a rileggermi i racconti de “La sposa”, flusso di pensieri sul presente, storie colme di bruciante amore per la vita. La raccolta prende il titolo dal racconto dove si narra di una giovane artista che attraversa l’Europa in autostop vestita da sposa. Dice Covavich: “Non è colpa mia se, mentre rifletto sulla sensazione di mancata pienezza che il mio presente e quello degli altri mi trasmettono, scorgo la figurina bianca di una ragazza che attende un passaggio seduta sul guardrail per andare a sposare il mondo”.
Due ragazze che fanno l’autostop in abito nuziale sembrano due ragazze vestite in maschera – un’apparizione in bilico tra la rievocazione folk e la goliardata – una ragazza che fa l’autostop in abito nuziale invece e una sposa. Subito per tutti nient’altro che questo: una sposa che aspetta seduta sul guardrail. Separandosi, avrebbero valorizzato al meglio il potenziale simbolico della loro performance. Tutta la vulnerabilità e la baldanza e la fiducia di una giovane donna che si offre in matrimonio al mondo. L’immagine stessa della purezza gettata tra le braccia del prossimo. Qualcuno avrebbe detto nelle fauci del prossimo, ma il loro progetto era nato proprio per contestare il cinismo paranoide delle società avanzate. E la paranoia il nostro peggior nemico, uomini e donne che inaridiscono bunkerizzati in casette dotate di panic room e circuito di videosorveglianza. Se ti esponi al contatto casuale con un bel sorriso l’altro ti premierà. Ha le prove, viaggia cosi da sempre. Il pellegrino non ha ragione di temere gli esseri umani, meno che meno se e una novella sposa. Ogni passaggio un matrimonio, sporcando il vestito ma rinnovando, quasi esasperando, l’illibatezza.
Chissà se si sta chiedendo perché e agghindata cosi. Quanto le piacerebbe spiegargli che anche lui e dentro l’opera. Suo marito per questo pezzo di strada. Insieme rimettono in scena l’unione, l’incontro. Ripetono il messaggio secondo un’ulteriore interpretazione, diversa dalle precedenti e da quelle che seguiranno. Una cerimonia di nozze piuttosto silenziosa con cui il mondo si unisce attraverso di loro. Il vestito grida ai quattro venti io credo in te, io credo in voi, ma poi ha bisogno che qualcuno l’aiuti a dimostrarlo. Mariti aiutanti. Ne ha avuti di chiacchieroni, di curiosi. Ha avuto mariti camionisti, mariti agenti di commercio, mariti professoresse, mariti famiglie. Si e sposata con un sacco di gente. Uno ha deviato di cinquanta chilometri il proprio percorso pur di accompagnarla dove chiedeva. Un altro l’ha invitata a pranzare a casa della madre in un villaggio vicino a Banja Luca. Hanno tutti collaborato. Ecco cos’è lui senza saperlo in questa breve corsa notturna: un suo collaboratore, l’assistente dell’artista. Se incrociano lo sguardo, le sorride sollevando gli occhi al cielo. Lei ricambia fingendo di essere stanca, cercando di mostrarsi grata del fatto che non parlano. E tentata di scattargli una foto per il blog, ma teme di essere scambiata per la classica turista stravagante, o peggio, una svitata. Cosi invece, con quello zaino lercio e il vestito a forma di giglio lungo fino alle caviglie, e ancora una presenza irrisolta nella mente dell’uomo, ne è sicura. Via via che si asciuga, sente i muscoli della schiena farsi meno contratti e tutto il corpo scivolare un po’ verso il basso occupando meglio lo spazio sul sedile. Fuori, anche l’ultimo segmento d’illuminazione stradale ha lasciato il posto all’oscurità compatta della campagna. Forse di giorno si vedono i monti, ma ora ogni cosa e dissolta nel nero intergalattico che slitta sul finestrino insieme ai rivoli di pioggia, interrotto solo dai bagliori dolenti dei loro compagni di viaggio, terrestri sorpresi sulla E-80, senza nessuna colpa, dalla prima seria perturbazione primaverile.
[da La Sposa di Mauro Covacich, Bompiani, 2014]