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Maurizio Cucchi, fedele alla realtà

Nel 1974 Pier Paolo Pasolini lo definì uno tra i pochi poeti giovani degni di interesse. Stiamo parlando di Maurizio Cucchi (Milano, 1945) che, giusto negli anni Settanta, aveva pubblicato le prime raccolte di versi, mostrando fin dagli esordi una sua originale cifra stilistica. Cucchi, in effetti, è un poeta che non si atteggia a poeta. Non guarda a se stesso, ma al mondo, alle cose che lo circondano, ai loro dettagli, portandoli ad una dimensione di universalità e di stupore. Egli crede fortemente a come la parola poetica riveli una maggiore consapevolezza della realtà. In alcuni versi giovanili ebbe a scrivere: “Poesia non è che un momento di suspense, / collegamento temerario tra la vita e la morte. // E la vita – chi non lo sa? / è congiunzione amorosa”. Ecco, allora, la necessaria fedeltà del poeta alla realtà, ad una concreta aderenza alla vita, a stare “nel presente assoluto, animato / dalla pace normale dell’esserci”.
 
 
L’aria d’intorno chissà come
placata, e frizzante, e la gente
a spasso sospesa, aerea,
lentissima, vacante
 
e indifferente a un traguardo,
all’azione, al profitto, ma
più vaga nel giorno, nel chiaro
mattino di luce e parte
 
persuasa infine del tutto diffuso,
in aperta adesione e armonia,
nel presente assoluto, animato
dalla pace normale dell’esserci
 
senza conflitti o sfide, senza
miserabile calcolo, ma
nella pace e nella più normale
armonia discreta dell’esserci.
 
[da Malaspina di Maurizio Cucchi, Mondadori, 2013]

 

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