Il 21 marzo abbiamo celebrato la giornata mondiale della poesia. Fu un’idea della Conferenza generale dell’Unesco (era il 1999) quella di far coincidere l’ingresso della primavera con un giorno particolarmente dedicato all’espressione poetica. Poiché ogni società umana, ogni cultura guarda allo statuto di questa arte come ad un luogo fondante della propria memoria. Uno dei poeti più significativi del Novecento, Mario Luzi, si interpellò lungamente su quale fosse la vocazione della poesia, che riesce a dare un nome, a chiamare ciò che è indicibile, a “battezzare” i frammenti dell’esistenza e di quanto non è ancora compiuto, completamente manifesto. Esiste, in proposito, un testo luziano di grande tensione lirica, dedicato proprio alla parola poetica che viene esortata a volare alta, a toccare gli estremi opposti – nadir e zenith, i poli diametralmente opposti dell’orizzonte – così da potersi manifestare in tutti i suoi significati, rivelare le molte “significazioni” delle cose. Farsi luce e non “disabitata trasparenza”. Volare alta, dunque, ma non da sola, non senza il calore di colui (il poeta) che le chiede un siffatto slancio.
Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami
nel buio della mente –
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza…
La cosa e la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?
[Mario Luzi, da Per il battesimo dei nostri frammenti, Garzanti, 1985]