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Luzi e il “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”

Chi entra nella sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena, resta rapito da uno dei più celebri capolavori della pittura trecentesca, la Maestà di Simone Martini, che occupa l’intera parete settentrionale del salone. Il grande affresco, dopo gli interventi di manutenzione conservativa effettuati nel 2017, appare quanto mai vivo. Quella assiepata folla di santi e profeti che circonda la Madonna in trono è un trionfo di luce e colori, e, come ebbe a dire Mario Luzi, sorprende per come sia, al contempo, tanto reale quanto sublime. Del resto l’arte di Simone Martini ebbe ad affascinare Luzi al punto da dedicare all’artista senese un’intera raccolta di versi: “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”. Una sorta di poema in cui si racconta l’immaginario viaggio di Simone (alter ego del poeta) da Avignone a Siena. Viaggio che ripercorre il vissuto dell’artista, i suoi affanni esistenziali, i modelli esteriori e interiori cui si è ispirata la sua arte. Ma soprattutto viaggio del ricongiungimento, del ritorno al futuro. Questo ritorno al luogo dell’anima è preceduto da stupore, ansia, incertezza, esaltazione. A un certo momento Siena pare svanire «nel celeste della sua distanza». La città «si ritira nel suo nome», «s’interna nell’idea di sé», «si brucia nella propria essenza». Simone la perde, la rintraccia, la perde nuovamente. In quanto città della Vergine – e quasi fosse una stessa cosa – la prega di rimanere dove è, così come la vede; di non ritirarsi da quella immagine, di non involarsi dai fermi lineamenti che lui le ha dato nella pittura; di non lasciare deserti i giardini d’azzurro, di turchese, d’oro, di variopinte lacche dove ella si è insediata, offerta alla pittura e all’adorazione. Simone la supplica di restare, pena la trasformazione di tutto ciò che egli ha creato in una derelitta plaga, in una mancanza di primavera, d’anima, di fuoco, di spirito del mondo…, che farebbero ricadere la sua opera su sé medesima, portandola ad essere vaniloquio, addirittura colpa.
 
 
 
Rimani dove sei, ti prego,
                        così come ti vedo.
Non ritirarti da quella tua immagine,
non involarti ai fermi
lineamenti che ti ho dato
io, solo per obbedienza.
Non lasciare deserti i miei giardini
d’azzurro, di turchese,
            d’oro, di variopinte lacche
dove ti sei insediata
                                   e offerta alla pittura
                                   e all’adorazione,
non farne una derelitta plaga,
            primavera da cui manchi,
mancando così l’anima,
il fuoco, lo spirito del mondo.
Non fare che la mia opera
ricada su se medesima,
                        diventi vaniloquio, colpa.
 
 
[Mario Luzi, da Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, Garzanti, 1994]  

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