Diversi lettori ricorderanno il romanzo “Brooklyn” di Colm Cóibín, pubblicato nel 2009; e ancora di più saranno coloro che rammentano l’omonimo film (2015) tratto dal libro e diretto da John Crowley. Siamo ai primi anni Cinquanta dello scorso secolo. La giovane protagonista, Eilis Lacey, desiderosa di una vita migliore e più gratificante di quella che può offrire la cittadina di Enniscorthy, nel Sud-Est dell’Irlanda, emigra a New York. Pure a prezzo di sacrifici e magoni da spaesamento, riesce ad ambientarsi in quel nuovo mondo, farsi una professione (diviene una valente contabile), si innamora dell’italo-americano Tony Fiorello, un idraulico, che sposa di nascosto.
L’improvvisa morte della sorella, fa sì che Eilis debba tornare in Irlanda. Ritrova così il piccolo universo delle origini che adesso, guardato con una diversa consapevolezza di sé e della vita, sembra pure meno angusto di come lo aveva lasciato. Proprio lì, a casa sua, le si prospetta un’occupazione degna della sua professionalità acquisita oltre oceano, conosce, fino a invaghirsene, Jim Farrell, giovane raffinato e ricco, desideroso di sposarla. Ma, come sappiamo, accade qualcosa che repentinamente la farà ripartire alla volta di New York, lasciando tutti basiti; compresi lettori e cinespettatori già schierati per l’happy end. Probabilmente c’era rimasto male lo stesso autore, tant’è che deve essersi detto: riparliamone. Ecco, quindi, il sequel di quella storia nel nuovo romanzo “Long Island”, edito in Italia da Einaudi con la sapiente traduzione di Giovanna Granato.
L’atmosfera è quella degli anni Settanta. Eilis e Tony vivono a Long Island, hanno due figli adolescenti, Larry e Rosella. Poco distanti da loro abitano i due cognati Enzo e Mauro con le rispettive famiglie e l’onnipresente suocera Francesca. Sono dunque trascorsi una ventina d’anni, nella maniera in cui è facile immaginare la vita di una ingombrante famiglia italo-americana che, quando la sunnominata suocera mette a tavola nei pranzi della domenica, conta, insieme a suo marito, quattro figli, tre nuore e undici nipoti. Forse un po’ troppa gente e troppo chiasso per una irlandese di tutt’altra indole. Colm Cóibín fa iniziare il racconto in modo dirompente. Tony ha messo incinta una donna ed Eilis impone al coniuge di fare una scelta netta, senza ambiguità. Nel frattempo, nell’imminenza dell’ottantesimo compleanno di sua madre, decide di andare per un po’ in Irlanda dove la raggiungeranno anche i figli.
Quasi come vent’anni prima, a Enniscorthy avverte in lei un rinnovato senso delle radici e degli affetti: quello nei confronti di sua madre, che mai si è fatta una ragione della partenza della figlia, verso i fratelli, l’amica d’infanzia Nancy, Jim che non si è affatto scordato di lei. Inevitabile, pertanto, non riconsiderare la propria esistenza. Cóibín è bravo scrittore e acuto psicologo. Blandisce chi legge con larghi tempi di metronomo. Gestisce bene ragioni e pathos di una scrittura che a ritmi lenti, ma mai superflui, lavora sui dettagli, sul sottinteso, finanche sul risaputo, per tessere un racconto di intensa umanità. Conduce così questo secondo capitolo della vicenda di Eilis al limite di un non-finale. Al punto di insinuare il sospetto che possa esserci un ulteriore capitolo. Insomma: Eilis, appena possibile, dacci notizie di te. Ti vogliamo bene.
***
– È venuto di nuovo quell’irlandese, – disse Francesca, sedendosi al tavolo della cucina. – Ha bussato a tutte le porte, ma è te che cercava. Gli ho detto che saresti rientrata presto.
– Che cosa vuole? – chiese Eilis.
– Ho provato in ogni modo a farmelo dire, ma non c’è stato verso. Ha chiesto di te chiamandoti per nome.
– Sa come mi chiamo?
Il sorriso di Francesca aveva un che di allusivo. Eilis apprezzava l’intelligenza della suocera, e anche il suo umorismo malizioso.
– Un altro uomo è l’ultima cosa che mi serve, – disse Eilis.
– A chi lo dici, – replicò Francesca.
Risero, poi Francesca si alzò e andò via. Da dietro la finestra Eilis la guardò attraversare con prudenza l’erba bagnata diretta a casa sua.
Larry sarebbe rientrato presto da scuola, poi Rosella dal doposcuola, poi avrebbe sentito Tony parcheggiare la macchina.
Era il momento ideale per una sigaretta. Ma, da quando aveva sorpreso Larry a fumare, avevano fatto un accordo: lei avrebbe smesso del tutto se lui prometteva di non toccare mai più una sigaretta. Eilis ne aveva ancora un pacchetto al piano di sopra.
Quando suonarono il campanello si alzò controvoglia, immaginando che uno dei cugini cercasse Larry per andare a giocare. Invece dall’ingresso intravide la sagoma di un adulto dietro il vetro smerigliato della porta. Solo sentendosi chiamare per nome capì che doveva essere il tizio che aveva detto Francesca. Aprì.
– È lei Eilis Fiorello?
L’accento era irlandese con quella che le sembrò una punta di Donegal, come un professore che aveva avuto a scuola. Anche la posa dell’uomo, quasi fosse pronto alla sfida, le ricordò il suo paese.
– Sono io, – disse.
– La cercavo.
Il tono era quasi aggressivo. Eilis si domandò se la ditta di Tony gli dovesse dei soldi.
– L’ho saputo.
– È la moglie dell’idraulico?
Considerato il tono sgarbato della domanda, pensò bene di non rispondere.
– È bravo nel lavoro, suo marito. Si direbbe che spopola.
S’interruppe un attimo, guardandosi alle spalle per controllare che nessuno lo sentisse.
– A casa nostra ha aggiustato di tutto, – proseguì, puntandole il dito contro. – Ha fatto anche qualcosina in più rispetto al preventivo. Tant’è che si ripresentava regolarmente quando sapeva che io non c’ero e la signora era in casa da sola. E si è dato talmente da fare che ad agosto nascerà un pupo.
Si fece indietro e spalancò la bocca in un sorriso vedendo la sua espressione incredula.
– Già. Perciò sono qui. E le garantisco che il padre non sono io. Non c’entro proprio niente. Solo che la signora in questione guarda caso è mia moglie e se qualcuno pensa che mi terrò in casa il marmocchio di un idraulico italiano facendo credere ai miei figli che è venuto al mondo in modo rispettabile come loro, si sbaglia di grosso.
Le puntò di nuovo il dito contro.
– Perciò appena nasce il piccolo bastardo, prendo e lo porto qui. E se lei non c’è, lo mollo a quell’altra. E se fra tutte queste case che avete non trovo nessuno, lo lascio qui davanti alla porta.
Si avvicinò e abbassò la voce.
– E dica da parte mia a suo marito che se vedo di nuovo la sua faccia in giro lo inseguo con la spranga di ferro che tengo sempre a tiro. Allora, ci siamo capiti?
Eilis avrebbe voluto dar mostra di ignorare tutto quel che aveva detto chiedendogli da quale parte dell’Irlanda veniva, ma lui le aveva già voltato le spalle. Cercò di farsi venire in mente qualcos’altro per trattenerlo.
– Ci siamo capiti? – ripeté quello quando arrivò alla macchina.
Non ricevendo risposta, fece per avvicinarsi di nuovo alla casa.
– Ci vediamo ad agosto, magari anche a fine luglio, e quella sarà l’ultima volta, Eilis.
– Come fa a sapere come mi chiamo? – chiese lei.
– Suo marito ha la lingua lunga. Ecco come lo so. A mia moglie ha raccontato tutto di lei.
Fosse stato un italiano o un semplice americano le sarebbe riuscito difficile valutare se era una minaccia campata in aria. Di certo, pensò, era uno a cui piaceva il suono della propria voce. Ma riconobbe qualcosa in lui, un’ostinazione, forse anche una specie di sincerità.
Ne aveva conosciuti di tipi così in Irlanda. Se avessero scoperto che la moglie li aveva traditi ed era rimasta incinta, non avrebbero voluto il figlio in casa.
In Irlanda, però, nessuno avrebbe potuto prendere un neonato e depositarlo davanti a casa di un altro. Qualcuno l’avrebbe visto. Un prete, un dottore o un poliziotto gliel’avrebbero fatto riportare indietro. Lì invece, in quel tranquillo vicolo cieco, quel tipo poteva lasciarle un neonato davanti a casa e nessuno se ne sarebbe accorto. Poteva davvero. E da come parlava, serrava la mascella e la guardava deciso, si convinse che diceva sul serio.
Quando la macchina si allontanò, Eilis tornò in salotto e si sedette. Chiuse gli occhi.
Da qualche parte, non lontano, c’era una donna che aspettava un figlio da Tony. Eilis, chissà perché, immaginava che fosse irlandese anche lei. Magari quello che si era presentato lì era più tipo da comandare a bacchetta un’irlandese. Un’altra si sarebbe ribellata o lo avrebbe lasciato. A un tratto l’immagine della donna, sola con un neonato, che andava a cercare aiuto da Tony la spaventò anche più di quella del neonato abbandonato sulla soglia di casa sua. Ma anche la seconda immagine, quando fece per visualizzarla in ogni raggelante particolare, le diede la nausea. E se il piccolo avesse pianto? L’avrebbe preso in braccio? E poi, che cosa avrebbe fatto?
Si alzò e, spostandosi su un’altra poltrona, ebbe l’impressione che l’uomo che si era appena trovata davanti, dotato di una concretezza vivida e prepotente, fosse uscito da un libro o da un programma televisivo. Non era semplicemente possibile che un attimo prima in casa regnasse la massima tranquillità e un attimo dopo si fosse presentato quel tizio.
Forse raccontarlo a qualcuno l’avrebbe aiutata a capire come sentirsi, che cosa fare. Per un istante le balenò l’immagine di Rose, la sorella maggiore, ormai morta da più di vent’anni. Per tutta l’infanzia si era rivolta a Rose, che si era sempre fatta carico di ogni sua minima difficoltà. Con la madre non si era mai confidata, ma tanto era in Irlanda e non aveva neppure il telefono. Le sue cognate, Lena e Clara, erano tutte e due di origine italiana e molto più legate tra loro che a lei.
In corridoio guardò il telefono sul tavolino. Magari ci fosse stato un numero da chiamare, un amico a cui raccontare la scena che si era appena tenuta sulla porta di casa! Non che quel tizio, va’ a sapere come si chiamava, sarebbe diventato più reale se l’avesse descritto a qualcuno. Non c’era dubbio che fosse reale.
Sollevò la cornetta come pronta a comporre un numero. Ascoltò il segnale della linea libera. Posò la cornetta e la riprese. Doveva pur esserci un numero da chiamare. Si portò la cornetta all’orecchio e capì che non c’era.