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Lo zio Eugenio

Da quando era mancato lo zio Eugenio, il Natale in casa nostra aveva perso un notevole tocco di eccentricità. A parte le circostanze straordinarie di matrimoni e funerali, la ricorrenza natalizia costituiva l’unica occasione in cui egli si concedeva ai parenti. Alle 20,20 giungeva puntualissimo per la cena della vigilia a casa della nonna. Già il suono del campanello lasciava intendere l’arrivo di una persona di tratto. La nonna ci gridava dalla cucina: «Ragazzi, andate ad aprire allo zio Eugenio». Ancora sul pianerottolo, con artefatta bonomia dispensava sulle nostre teste carezze e auguri: bon Noel… joyeux Noel (i francesismi erano una sua fissa); percorreva il corridoio perfettamente sincrono con gli scricchiolii del parquet, sbottonava il casentino arancione come un vescovo sgancia il piviale e andava dritto all’albero a deporre i suoi pacchetti verso i quali noi ragazzi mostravamo fin da subito un rassegnato disinteresse. Perché zio Eugenio regalava soltanto libri. Con i libri – diceva – tu non doni un oggetto, ma un mondo intero. Aveva inoltre teorizzato che certi classici andassero letti a rotazione ogni dieci anni, poiché il tempo e la vita delle persone avrebbero aggiunto a quelle pagine nuovi significati, nuove rivelazioni. Ecco, dunque, i suoi libri-regalo dentro incarti, al pari di lui, squadrati e simmetrici. Perfette geometrie a sorreggere i deformi fagotti di maglioni, guanti, palloni, attrezzi da bricolage, cesti di roba mangereccia.

Ma la cosa non finiva lì. Appena seduti a tavola, lo zio, nel preciso momento in cui posava sul piatto il primo crostino, avvertiva: «questo Natale abbiamo tra noi ospiti illustri». L’allusione era ai personaggi dei libri ancora da scartare. Un gioco a indovinello per esibire le sue conoscenze letterarie, delle quali poco interessava ai convitati, più che altro presi dal traffico dei vassoi. Tanto per fare un esempio. L’anno che a me aveva regalato Guerra e pace chiese alla nonna se potevano essere aggiunte due sedie per Pierre Bezukhov e Natasa Rostova, ma nessuno dei presenti prese in considerazione la coppia venuta dal freddo. Andò diversamente la volta che l’ospite era Ferdinand Bardamu, ovvero quando mio fratello, un adolescente, fu il destinatario di Viaggio al termine della notte di Céline. Nostra madre, che aveva il suo rispettabile background di letture, non gradì affatto che un libro così «cinico e nichilista» finisse nelle mani di un ragazzo nemmeno maggiorenne. E il signor Bardamu, ma soprattutto chi l’aveva invitato, rischiò quasi di essere messo alla porta. Nessuno aveva capito che, attraverso quel gioco, zio Eugenio intendeva condividere qualcosa di sé. Lui era tutti i personaggi che gli piaceva evocare. Ci fu chiaro il primo Natale che lo vide definitivamente assente. La nonna, che aveva regalato ai più piccoli il dickensiano Canto di Natale, mise in tavola gli antipasti annunciando con malcelata commozione: «stasera è nostro ospite Ebenezer Scrooge, colui che ha dimostrato come in fondo al cuore degli uomini sia riposta sempre e comunque la buona volontà». Era ciò che aveva sempre detto lo zio Eugenio a proposito del vecchio Scrooge. Tutti ci stringemmo per fargli posto.

 

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