"Se mi tornassi questa sera accanto" è l’incipit di una intensa poesia di Alfonso Gatto dedicata al padre. E questo verso è stato scelto da Carmen Pellegrino per il titolo del suo secondo libro, dove si racconta di un padre e di una figlia lontani, ormai ignari l’uno dell’altra, separati da chilometri e chilometri; distanti, non di meno, per uno strappo generazionale. Il padre Giosuè è uomo antico, legato alla terra (alla propria avara terra), fervente socialista e deluso da chi quegli ideali ha tradito. Rimasto solo con i rimpianti (la moglie Olga è ormai persa nel suo male oscuro) ma pure con la fermezza di certe convinzioni, decide di scrivere lettere alla figlia Lulù affidandole alla corrente del fiume. A lei che si trova sulle sponde di un altro fiume e che, ovviamente, non riceverà mai i messaggi in bottiglia del padre. Ma a suo modo sembra rispondergli: in ragione di ciò che si trova a vivere, per i sentimenti e i pensieri che la porteranno a riflettere su “quanto sia complicata la vita per i figli dell'uomo, che cercano il perdono definitivo per quello che fanno, ma non perdonano mai se stessi per quello che non hanno fatto”.
Lulù, cara,
da tempo non abbiamo tue notizie e nemmeno il modo di poterne ricevere da altri. Questo non è bello, lasciamelo dire, ma non è per rimproverarti che ti scrivo. Ho deciso di scriverti tutte le volte che posso, da oggi fino a Natale. E potrò spesso, se Nora non mi darà altre preoccupazioni, e se il fiume resterà quieto nei suoi argini. Al fiume, infatti, affiderò le lettere, ciascuna in una bottiglia. Le darò al fiume, a quest’acqua che sgorga dalla terra. Sai, Lulù, ho fiducia nelle cose che vengono da lì: la terra non mi ha mai tradito. Quanto alle bottiglie, ne ho una scorta in cantina. Sono quelle rimaste vuote dopo la vendemmia. Quest’anno ho ricavato poco vino dalla mia barbera forestiera – tu diresti abusiva – ma anche stavolta è venuto robusto e comunque mi basterà. In paese dicevano che ero un ostinato a volere innestare un vitigno qui dove non poteva attecchire. E invece ha attecchito e, anno dopo anno, mi ricompensa come può. Al riguardo, tuo nonno aveva un’idea precisa: finché c’è vigna c’è speranza, diceva, e per dimostrarlo faceva un tale baccano nei giorni di vendemmia… Lulù, io non mi fermo più all’impossibilità.
Ieri abbiamo avuto il referto degli ultimi accertamenti di Nora. Hanno scritto declino irreversibile. Devo ammetterlo: mi hanno ferito queste due parole così aspre messe l’una accanto all’altra, con grafia impassibile. Mi sono chiesto se era così necessario specificarlo; se andava sottolineata così chiaramente l’irreversibilità di questo declino. Il fatto è che ogni giorno s’ingoiano cose amare e si impiega veramente poco a convincersi che la vita stia andando alla fine. Ciò nonostante, qualcosa si potrà fare, o almeno non fare. Ho deciso che non aspetterò qui, consegnato alla rassegnazione, la fine della nostra casa, e in seguito forse vedrò che tutto questo non è stato che un altro inizio. Così, non potendo mutare l’irreversibilità, ho cercato i contrari di declino e ho trovato ascesa, aumento, fioritura… Ho promesso a Nora che un giorno nel referto troveremo scritto fioritura irreversibile. Bisognerà costruirla giorno dopo giorno questa fioritura, questo giardino in cima a un ghiacciaio. E come per la mia uva troverò il modo, il nutrimento, e ne sentiremo presto i profumi, questo le ho promesso. Lei ha sorriso come ormai fa sempre, anche quando non ce n’è motivo. Sorridi anche tu quando leggerai queste righe. Un giorno ti arriveranno, insieme alle altre che ti manderò, dopo una piena di tutte le acque del mondo. Guarda un fiume, ogni tanto. Guarda dove più s’increspa l’acqua. Se ti conosco, so che lo farai. Io sono lì. Intanto, sii felice.
Tuo Giosuè
[da Se questa sera mi tornassi accanto di Carmen Pellegrino, Giunti, 2017]