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La zona d’interesse: il paradosso per dire la tragedia

Ad Auschwitz, da quest’anno, è visitabile la casa, posta a pochi metri dal campo di prigionia, dove, dal 1941 al 1944, visse con la sua famiglia Rudolf Höss, ufficiale nazista e comandante del lager. Una figura diventata nota al grande pubblico con il film “The Zone of Interest” (2023), scritto e diretto da Jonathan Glazer.

Negli ultimi quarant’anni aveva abitato in quelle stanze Grazyna Jurczak, una signora polacca oggi vedova, la quale, dopo aver visto il film e le tante persone che, con indignata mestizia, si aggiravano attorno all’edificio, ha preso consapevolezza di cosa tali muri evocassero. Intervistata da un giornalista del New York Times ha dichiarato la “paura di sembrare la signora Höss”, che era “forse anche peggio di suo marito”. Ha dunque deciso di vendere la casa all’organizzazione non governativa Counter Extremism Project, che intende farne la sede di un Centro di ricerca sull’odio, l’estremismo e la radicalizzazione di Auschwitz.

Il film di Glazer è tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis pubblicato nel 2014 (in Italia uscito l’anno dopo per Einaudi con la traduzione di Maurizia Balmelli). È un libro da (ri)leggere. Azzarda la chiave del grottesco (è del resto, questa, una costante nella produzione narrativa dello scrittore britannico) per inscenare una tragedia in cui il male – istigato dall’odio, strutturato in ideologia, pianificato in organizzazione, gestito con la solerzia di un lavoro – nulla turba nelle esistenze di coloro che di quel male, ogni giorno, sono gli spietati esecutori.

Così – racconta Amis – al Kat Zet, la Zona d’Interesse attigua al campo, ben sistemata nel verde e dotata di tutti i comfort, la vita degli ufficiali delle SS, alcuni con famiglia al seguito, procede tranquillamente. A mala pena vi giungono grida, spari, abbaiare di cani, il fumo dei camini. Nella Zona d’Interesse, madri premurose accudiscono i figli, padri, di giorno aguzzini, la sera leggono storie ai rampolli per addormentarli. Negli uffici e negli ambienti di ritrovo, gli uomini fanno discorsi da uomini: beghe di lavoro (perché ciò che fanno è un lavoro), smanie di carriera, chiacchiere, fantasie erotiche.

Il romanzo comincia proprio con una di queste chiacchiere ammazzatempo tra Golo Thomsen e Boris Eltz, l’uno ufficiale di collegamento fra l’industria bellica e il Reich, l’altro, intrepido capitano senza scrupoli. Amici di infanzia, ora si ritrovano lì a biascicare tedio e lussuria scambiandosi impressioni sulle belle forme di Hannah, moglie di Paul Doll, beone e spietato Kommandant del campo. Insomma, discorsi di ordinario machismo dinanzi a un caffè, come se ciò che accade a qualche centinaio di metri, dietro ai reticolati, fosse cosa che non riguarda loro.

Il racconto di Amis procede seguendo la difficile scelta narrativa di utilizzare il paradosso per dire la tragedia. Questo, infatti, impersonano il comandante Doll con le sue nevrosi, irrequietezze, lascivie; Szmul, il corvo del crematorio, trafficante di cadaveri; il già citato Golo, che in mezzo a quelle atrocità è preso da passione amorosa. Sono essi le voci narranti di un orrore così inenarrabile da dover ricorrere a una drammaturgia dell’assurdo.

***

1. Thomsen: Prima vista.
Non ero estraneo al bagliore del lampo; non ero estraneo al fragore del tuono. Grande esperto in materia, non ero estraneo all’acquazzone – l’acquazzone, e poi il sole e l’arcobaleno.
Stava tornando dalla Città Vecchia con le sue due figlie, ed erano già ben dentro la Zona d’Interesse. Di fronte a loro, pronto ad accoglierle, si allungava un viale – quasi un colonnato – d’aceri, con i rami e le foglie lobate intrecciati verso il cielo. Un tardo pomeriggio di mezza estate, con un minuto scintillio di moscerini… Il mio notes era aperto su un ceppo, e la brezza si insinuava curiosa tra le pagine.
Alta, robusta, piena, eppure con un’andatura leggera, in un vestito alle caviglie di merletto bianco e un cappello di paglia color crema col nastro nero, dondolando una borsa di paglia (le bambine, ugualmente in bianco, anche loro con cappelli e borse di paglia), faceva dentro e fuori da vaghe, fulve sacche di calore leonino. Ha riso – la testa all’indietro, il collo teso. Io tenevo il passo muovendomi in parallelo, nella mia giacca di tweed e nei miei pantaloni di twill su misura, con il mio portablocco, la penna stilografica.
Adesso le tre stavano attraversando il vialetto dell’Accademia Equestre. Con le figlie che le saltellavano fastidiosamente intorno, lei ha superato il mulino a vento ornamentale, il palo della festa del primo maggio, il patibolo a tre ruote, il cavallo da tiro mollemente legato alla pompa per l’acqua e proseguito oltre.
Dentro il Kat Zet – dentro il Kat Zet I.
Qualcosa è accaduto a prima vista. Fulmine, tuono, acquazzone, sole, arcobaleno – la meteorologia della prima vista.
Si chiamava Hannah – la signora Hannah Doll.
Al Circolo Ufficiali, seduto su un divano di crine di cavallo, circondato da finimenti equini in ottone e stampe equine, bevendo surrogato di caffè (caffè per cavalli), ho detto al mio amico di una vita, Boris Eltz:
– Per un attimo sono tornato giovane. È stato come l’amore.
– L’amore?
–Ho detto come l’amore. Non fare quella faccia. Come l’amore. Un senso di ineluttabilità. Sai. Come la nascita di una lunga e splendida storia d’amore. Un amore romantico.
– Déjà vu e quella roba lí? Dài. Rinfrescami la memoria.
– Be’. Dolorosa ammirazione. Dolorosa. E un senso di umiltà e indegnità. Come con te ed Esther.
– Ma quella è tutta un’altra cosa, – ha detto Boris, alzando un dito orizzontale. – È una cosa paterna. Quando la vedi capirai.
– Comunque. Poi è passata e ho… E ho semplicemente cominciato a chiedermi come potesse essere senza i vestiti.
– Appunto, lo vedi? Io non mi sono mai chiesto come potesse essere Esther senza i vestiti. Se succedesse inorridirei. Mi coprirei gli occhi.
– E davanti a Hannah Doll, ti copriresti gli occhi?
– Mm. Chi l’avrebbe detto che il Vecchio Beone si sarebbe trovato una donna simile?
– Lo so. È incredibile.
– Il Vecchio Beone. Però pensaci un attimo. Sono sicuro che ha sempre bevuto. Ma non è stato sempre vecchio.
Ho detto: – Le bambine quanti anni hanno? Dodici, tredici? Quindi lei ha la nostra età. O qualcosa di meno.
– E il Vecchio Beone l’ha messa incinta quando aveva cosa? Diciott’anni?
– Quando lui aveva la nostra età.
– D’accordo. Che se la sia sposata si può perdonare, immagino, – ha detto Boris. E ha alzato le spalle. – A diciott’anni. Ma poi non l’ha lasciato, dico bene? E questo fa meno ridere.
– Lo so. È difficile da…
– Mm. Per me è troppo alta. E a ben pensarci, è troppo alta anche per il Vecchio Beone.
E siamo tornati a chiederci: Perché mai portare moglie e figli in questo posto? In questo posto?
Ho detto: – Questo è un ambiente più adatto ai maschi.
– Mah, non lo so. A certe donne non dispiace. Certe donne sono uguali agli uomini. Prendi tua zia Gerda. Lei lo adorerebbe, questo posto.
– Zia Gerda potrebbe approvarlo in linea di principio, – ho detto. – Ma non lo adorerebbe, questo posto.
– Dici che Hannah lo adorerà?
– Non ha l’aria di una che lo adorerà.
– No, in effetti. Ma non dimenticare che è pur sempre ancora la moglie di Paul Doll.
– Mm. Allora magari si ambienterà bene, – ho detto. – Me lo auguro. La mia presenza fisica funziona meglio con le donne che adorano questo posto.
– … Siamo noi che non lo adoriamo.
– No. Però possiamo contare l’uno sull’altro, grazie a Dio. E non è poco.
– Hai ragione, mio caro. Tu hai me e io ho te.
Boris, il mio affetto permanente – empatico, intrepido, di bell’aspetto, come un piccolo Cesare. Scuola materna, infanzia, adolescenza e poi, più tardi, le vacanze in bicicletta in Francia e Inghilterra e Scozia e Irlanda, i tre mesi del lungo viaggio da Monaco a Reggio e poi giù fino in Sicilia. Solo da adulti la nostra amicizia aveva incontrato qualche difficoltà, quando la politica – la storia – si era abbattuta sulle nostre vite. Ha detto:
– Tu a Natale te ne vai. Io sto qui fino a giugno. Perché non mi hanno mandato nell’Est? – Ha sorseggiato il suo caffè, aggrottato la fronte e si è acceso una sigaretta. – Tra l’altro le tue possibilità, fratello mio, sono nulle. Dove, per esempio? Lei è decisamente troppo appariscente. E sta’ all’occhio. Il Vecchio Beone sarà pure il Vecchio Beone ma è anche il Comandante.

[da La zona d’interesse di Martin Amis, trad. di Maurizia Balmelli, Einaudi, 2015]

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