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La più recondita memoria degli uomini. Il giallo letterario di Mohamed Mbougar Sarr

Premio Goncourt nel 2021, il romanzo “La più recondita memoria degli uomini” del senegalese Mohamed Mbougar Sarr, è ora uscito in Italia per le Edizioni e/o con la traduzione di Alberto Bracci Testasecca. Difficile parlarne, dopo che l’autore proprio dalle sue pagine ammonisce per interposta persona: “Ti do un consiglio, non cercare mai di dire di cosa parli un grande libro. O, se lo fai, dai l’unica risposta possibile: di niente. Un grande libro parla sempre e soltanto di niente, ma dentro c’è tutto”. Ecco, si dà il caso che il libro di Mohamed Mbougar Sarr sia un grande libro, e se non dice tutto, interpella comunque sul senso dei libri, dello scrivere, sul nesso tra vita e letteratura, sui limiti, i rischi, le consapevolezze che quest’ultima esige. Protagonista del romanzo è Diégane, giovane scrittore senegalese immigrato a Parigi. Desidera farsi conoscere nell’ambiente letterario, e, tra bevute e sesso, la letteratura è costante argomento di discussione nel gruppo di giovani artisti africani che frequenta. Ma ad un certo punto ogni suo interesse viene assorbito dalla scoperta di un romanzo del 1938 intitolato “Labirinto del disumano”, di tale T.C. Elimane. Un libro che all’epoca fece scandalo, perciò le copie vennero ritirate dal commercio e distrutte. Con il libro sparì di circolazione il suo autore, anch’esso senegalese e del quale nulla più si seppe. Diégane ritiene che il libro sia un vero capolavoro: inquietante per come racconti verità sulla natura umana e per come chi lo legga ne resti ossessionato. Pure per lui inizia l’ossessione di quella storia e decide che debba ricostruirsi la vicenda del suo autore. Sviluppando, di fatto, un giallo letterario, intraprende ricerche su vecchi giornali, va ad Amsterdam per incontrare una scrittrice d’avanguardia che, con i suoi racconti, lo sbalza nella Francia dell’occupazione nazista, nel Senegal della prima colonizzazione, tra i fermenti culturali dell’Argentina anni Sessanta. Sparsi tra le diverse latitudini, seminati in un labirintico percorso rintraccia frammenti d’esistenza del misterioso T.C. Elimane che condurranno Diégane fino all’odierno Senegal. “La più recondita memoria degli uomini” di Mohamed Mbougar Sarr risulta un avvincente romanzo nel romanzo dove continuamente si confondono vita e letteratura, fino alla domanda estrema: se, ai fini del nostro ‘esistere’, sia più attendibile l’una o l’altra.
 
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Agli autori africani della mia generazione, che presto non potrà più essere definita giovane, T.C. Elimane aveva permesso di scannarsi in tenzoni letterarie pie e sanguinose. Il suo libro aveva qualcosa sia della cattedrale che dell’arena, ci entravamo come nella tomba di un dio e finivamo inginocchiati nel nostro sangue offerto in libagione al capolavoro. Bastava una pagina a darci la certezza che stavamo leggendo uno scrittore, un hapax, uno di quegli astri che appaiono una volta sola nel cielo di una letteratura.
Ricordo una delle numerose cene che abbiamo trascorso in compagnia del suo libro. Durante la conversazione Béatrice, la sensuale ed energica Béatrice Nanga tra i cui seni speravo che un giorno mi mancasse l’aria, sfoderando gli artigli aveva detto che solo le opere dei veri scrittori meritavano il dibattito con il coltello tra i denti, solo loro riscaldavano il sangue come un alcolico di razza, e che se per compiacere la mollezza di un consenso invertebrato avessimo eluso lo scontro appassionato a cui eravamo chiamati avremmo disonorato la letteratura. Un vero scrittore, aveva aggiunto, suscita discussioni mortali tra i veri lettori, che sono sempre in guerra; se non sei pronto ad affrontare il terrore nell’arena pur di accaparrarti la sua carcassa come nel gioco del buzkashi, lèvati dai piedi e vai a morire nella tua pisciatina tiepida che scambi per birra di qualità: sei tutto meno che un lettore, e ancora meno uno scrittore.
Avevo appoggiato quell’attacco all’arma bianca di Béatrice Nanga. T.C. Elimane non era un autore classico, era un autore di culto. Il mito letterario è un tavolo da gioco. Elimane vi si era seduto e aveva giocato le tre carte più forti che esistano: per prima cosa si era scelto un nome dalle iniziali misteriose, poi aveva scritto un solo libro, infine era sparito senza lasciare traccia. Sì, valeva la pena giocarsi il tutto per tutto per impadronirsi delle sue spoglie.
Sebbene si potesse dubitare che in una certa epoca fosse davvero esistito un uomo di nome T.C. Elimane o domandarsi se non fosse uno pseudonimo inventato dall’autore per prendersi gioco dell’ambiente letterario o sottrarsene, nessuno poteva mettere in dubbio la potente verità del suo libro, una volta chiuso il quale la vita rifluiva nell’anima con violenza e purezza.
Sapere se Omero abbia avuto o no un’esistenza biografica rimane una questione appassionante. Alla fine tuttavia cambia ben poco nella meraviglia del lettore, che è grato a Omero, chiunque o qualunque cosa fosse, per aver composto l’Iliade e l’Odissea. Allo stesso modo importavano poco la persona, la mistificazione o la leggenda che si celavano dietro T.C. Elimane, poiché dovevamo a quel nome l’opera che aveva cambiato il nostro modo di vedere la letteratura e forse la vita. Il Labirinto del disumano: così si intitolava, e noi andavamo alle sue pagine come i lamantini vanno a bere alla fonte.
In origine c’era una profezia e c’era un Re, e la profezia disse al Re che la terra gli avrebbe dato il potere assoluto, ma avrebbe preteso in cambio le ceneri dei vecchi. Il Re accettò e si mise subito a bruciare gli anziani del suo regno, poi ne fece disperdere i resti intorno al suo palazzo, dove presto crebbe una foresta, una foresta macabra che venne chiamata il labirinto del disumano.
 
[da La più recondita memoria degli uomini di Mohamed Mbougar Sarr, trad. di Alberto Bracci Testasecca, Edizioni e/o, 2022]  

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