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“La città dove il mio cuore si compiace veramente”. E’ scomparso lo scrittore Josè Saramago, un innamorato di Siena

Lo scrittore portoghese e premio Nobel Josè Saramago è morto, all’età di 87 anni, nella sua residenza a Tias, località di Lanzarote, nelle Isole Canarie. E come lui stesso ebbe a scrivere in un mesto aforisma, potremmo rammentare che “il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono”.
Restano le sue opere, a testimonianza, soprattutto, che egli amava la storia per come essa racchiudesse piccole storie di uomini, magari paradossali, strambe e controverse, che poi, sulla pagina, diventavano prodigiose allegorie scritte con una prosa e una grammatica altrettanto fuori dalle convenzioni. Soprammesse e superbe armonie di parole non sempre completamente decifrabili e accessibili, ma anche un grande esercizio (attraverso quelle storie) di pietà e compassione verso il genere umano. E, non di meno, scandaglio delle contorte psicologie e dei comportamenti.
Giusto a proposito di concezione della storia, quando Saramago, nel 1999, venne a Siena per ricevere una laurea honoris causa, parlò anche del suo romanzo “L’uomo duplicato” e del protagonista, un modesto professor Tertuliano, per il quale la storia doveva essere interpretata e insegnata partendo dal presente verso il passato e, non, come è uso, dal passato all’oggi. Probabilmente era proprio in virtù di questa ottica ribaltata che lo scrittore portoghese prediligeva Siena, tanto da dedicarle scritti di grande intensità (“Ed ecco Siena, la beneamata, la città dove il mio cuore si compiace veramente. Terra di gente amabile, luogo dove tutti hanno bevuto il latte della bontà umana”) fino ad azzardare una inappellabile partigianeria di sentimenti (“ti antepongo a Firenze per sempre”).
Saramago osservò la città in ogni anfratto e conformazione, affascinato dal fatto che “le tre colline su cui è costruita ne fanno una città dove non esistono due strade uguali, tutte contrarie ad assoggettarsi a qualsiasi geometria”. Così come scrutò, da bearsene, “questo meraviglioso colore, il colore del corpo brunito dal sole, ma che è anche il colore della crosta del pane di granturco, questo colore meraviglioso va dalle pietre alla strada e ai tetti, addolcisce la luce del sole e si cancella dal viso le ansie e i timori”. Si spinse a dire che “non può esservi nulla di più bello di questa città”, il cui segreto, tutto da decifrare, è racchiuso nello scrigno del Campo: “una piazza inclinata e curva come una conchiglia, che i costruttori non vollero spianare ed è rimasta così, come se fosse un grembo”. Confessò che, guardando i vecchi palazzi e le case antichissime di Siena, avrebbe voluto, un giorno, poterci vivere, “con una finestra tutta mia, affacciata sui tetti color argilla, sulle persiane verdi delle finestre, come nel tentativo di decifrare da dove venga questo segreto che Siena mormora e che io continuerò a sentire, benché non lo capisca, fino alla fine della vita”. Ci è piaciuto ricordare Josè Saramago con questi piccoli inserti senesi, non certo per alimentare il vezzo di un provincialismo compiaciuto e autoreferenziale. Ma per quell’umanesimo che egli sapeva commisurare e interpretare così bene nel “piccolo”, e che in tal modo era reso universale. Avvertendoci, non a caso, che “non è la dimensione del vaso che importa, ma quello che ognuno di noi riesce a mettervi”.

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