Ed ecco anche il settimo sigillo su questa bella manifestazione online, il nostro contest delle 100 parole. Diciamo subito che uno di questi racconti nasconde un fatto molto curioso, ma assolutamente reale. Un mistero che sveleremo più avanti. Per ora, lasciando intatta la suspense, visto che si parla anche di settimo sigillo, diciamo che il filo conduttore dei premiati di questa settimana, è stato il tempo e l’inesorabilità delle cose. Viene il dubbio che vi siate parlati, prima di spedirci i racconti, perché, come vi sarete accorti leggendo i testi delle precedenti 6 settimane, non è stato poi difficile trovarvi temi e situazioni assai vicine. I pensieri a volte sono davvero contagiosi, riecheggiano di testa in testa per giungere fino a noi. Il tempo nelle sue manifestazioni, si sa, va preso al volo. Dare tempo al tempo, quando di può, ci porta a sedimentare le idee e a volte a cambiarle. Ma attenti allora, in quel fatidico momento, ad afferrare l’occasione e fare la mossa giusta, potrebbe non esserci ‘tempo’ per rimediare! Ce lo spiega, con humour stile oltremanica, Romeo Lucchi, genovese, uomo di teatro, affabulatore che da trent’anni si dedica ad attività legate al palcoscenico e al movimento espressivo. Suoi racconti sono stati premiati e antologizzati (La farinata, Se tornassi indietro), alcuni li trovate in rete e sulle principali piattaforme di podcasting.
La tazza del vate
Era la prima volta che partecipava a un’asta. Aveva con sé contanti e libretto degli assegni. Il battitore presentò l’articolo: tazza da tè appartenuta al sommo poeta. Unico pezzo rimasto di un prezioso servizio in porcellana di Capodimonte. Base d’asta: cento euro. Accarezzò l’idea di acquistarla. Col Gabriele erano conterranei anche se lui era milanese d’adozione. Magari l’aveva portata alle labbra la Duse, pensò. A cinquecento euro ebbe un’epifania: come faceva a essere certo che fosse veramente del Gabriele? Decise di lasciar perdere. Fanculo la tazza- disse tra sé con un gestaccio che gli assicurò il pezzo per seicento euro.
Poi c’è il tempo fra i tempi: il tempo della vita e quello della morte. Il tempo possiede una soluzione di continuità? Riflessioni macabre? Forse, ma in questi mesi c’è stato tempo per riflettere su tutto, come non si faceva da lungo tempo. Qui è Daniele Possanzini pisano, manager ed esperto forense di informatica e di sicurezza informatica, a prendersi la patata bollente e tentare di spiegarcelo. Il suo romanzo d’esordio, Pervinca – enigma della molestia per una donna geniale, è stato pubblicato nel 2019.
Senza soluzione di incomprensibilità
Non c’è mai tempo di chiedere informazioni a chi muore, di chiederle proprio in quell'istante misterioso in cui sta vivendo la sua morte. Prima e dopo non è come nell'istante in cui esattamente accade. È come quando ci si addormenta. Prima si è svegli e poi si è addormentati. Ma nel passaggio?Chi si è mai fermato a gustare quel momento sottile, guardando di qua e di là?Dove sono il tempo e lo spazio quando si perde coscienza? Non è anche quello un immenso silenzio improvviso che avvolge? Non è un mistero anche quello?
E poi c’è l’amore, che talvolta supera il tempo, ma qualche volta invece non gli resiste e poi c’è l’immortalità…perché qualcosa ci lasciamo sempre dietro, le nostre opere restano. Ma non è detto che questo, come si potrebbe pensare, abbia sempre una connotazione positiva e rosea: anche le maledizioni per le promesse tradite del tempo e dell’amore, a volte restano eterne. Francesca Condò, nell’inviarci questo racconto, il suo terzo per #ioraccontobreve, ci dice che si sta abituando a prendere il caffè da voi. Me lo immagino coi tavoli di legno consumati, il Caffè letterario 19, una bella luce come è in questa stagione, e qualche tavolo fuori in mezzo a vasi di fiori un po' in disordine. Bella immagine. Grazie, queste 41 parole ce le teniamo con piacere per noi!!!! Può tornare quando vuole, come tutti Voi!
La tovaglia nuziale
Aveva consumato tutte le sue ore di luce su quel ricamo. Aveva scelto i disegni uno a uno: fiori, foglie, anche l’arca dell’alleanza perché come nella Bibbia il loro sarebbe stato un patto eterno. Forte come la morte. E invece l’amore non era durato. E della forza era rimasta solo la morte. E l’odio. Lo aveva proseguito, il ricamo. Lo aveva proseguito e punto dopo punto aveva intessuto lacrime e sangue e la promessa d’amore era diventata maledizione; l’albero della vita era ora mandragora che la lacerava, un infinito lamento. Prima solo nella mente. Dopo si era fatta verbo nella sua bocca. Aveva evocato tutte le forze celesti perché la aiutassero a dannarlo. A dimenticare il traditore. Mundane e traitori! Ma la maledizione si era fatta parola scritta e il dolore, intessuto, era diventato anche lui eterno.