Nell’epoca dei tweet, della balbuzie online che comunica con lingua povera e frantumata, che senso può avere la poesia? Il poeta olandese Cees Nooteboom, che il New York Times ha definito “una delle voci più alte nel coro degli autori contemporanei”, ammette che sono milioni le persone che fanno benissimo a meno della poesia. Peccato – non manca di aggiungere – perché anche un solo verso può cambiare il mondo: “la poesia è fondamentale, aiuta a vivere; incoraggia a superare i limiti della realtà in cui viviamo”. Nooteboom, personaggio di grande versatilità (filosofo, storico, curioso viaggiatore) confida che “ogni giorno m’illumino di immensa poesia”. E’, infatti, in virtù della parola poetica che è possibile cogliere la dimensione onirica, il senso profondo e talvolta inespresso delle cose.
Di notte, lungo palazzi di nuvole
e un’ultima terrazza di chiaro di luna,
il sogno di viaggi proibiti,
un portone, sempre chiuso,
ora socchiuso, il pericolo di un’altra
vita, una poesia
di un’esistenza capovolta,
in cui la morte non ha falce:
è un’amante su zoccoli d’oro
che ti accarezza il seno
e srotola il tappeto di stelle
perché ti ci possa stendere sopra.
Luce ovunque, fino ai denti
della belva, fino alle unghie
dell’assassino e al pugnale lucente
che scrive l’ultima parola,
fuoco, poi con i tuoi occhi di nessuno
vedere senza mai una fine,
vedere chi eri.
[C. Nooteboom, “Notte, 2012” da Luce ovunque (2012-1964), trad. di Fulvio Ferrari, Einaudi, 2016]