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“Il Clebbe di Tambus”, Elettra Fusi racconta la storia di una compagnia teatrale sui generis

Il Vernacolo Clebbe è stato un momento forse irripetibile della creatività popolare senese. Un gruppo di contradaioli provenienti da tutti i rioni della città guidati dalla regia di Bruno Tanganelli detto Tambus, per gli amici Bubi: senese e giraffino DOC. E il lavoro diElettra Fusi, nato come tesi di laurea e poi ampliato in vista della pubblicazione con la Casa Editrice Il Leccio, rende omaggio a questa compagnia teatrale “sui generis” spiegandone e descrivendone tutti gli aspetti più importanti. Come dichiara l’autrice stessa, Il clebbe di Tambus è diviso in tre parti: una parte introduttiva che illustra ai lettori la nascita e la vita del Vernacolo Clebbe, di questo gruppo di amici che avevano fatto del divertimento, della serenità e della passione per il teatro e per Siena i loro semplici ma genuini ideali. Una seconda parte dedicata all’analisi e alla spiegazione di alcune commedie, le più note e rappresentative, come “Accosta l’uscio”, “Dacceloo!” e “L’ultimo Palio di Rosa”. E la parte conclusiva, la terza, che vede riportati i copioni integrali degli spettacoli, permettendo a tutta Siena di non perdere un patrimonio popolare così prezioso. Un libro – questo di Fusi – che “si fa ben leggere”, scritto con semplicità ed immediatezza, senza parentesi inopportune che distolgano il lettore dal “nocciolo della questione”. Viene raccontata in breve la vita di Tambus, la sua infanzia trascorsa nel collegio di Campansi e la sua prigionia in Africa durante il secondo conflitto mondiale: anni drammatici che paradossalmente videro muovere le prime esperienze teatrali di Bubi. E poi la folgorante idea del Vernacolo Clebbe durante una notte d’estate a Siena, gli esordi della compagnia teatrale, le prove “giù a Santa Caterina”, la verve di Tambus come regista e le rappresentazioni al Teatro dei Rinnovati. Le persone che recitavano col Vernacolo Clebbe erano vere e proprie maschere prima ancora che attori: Raffaello Brogi, con la sua espressività sotto i baffi e gli occhialini; Fabio Bianciardi, con la sua simpatica mole fisica per la quale fu soprannominato da tutti “il Belva”; Enzo Tancredi, spesso nelle vesti di scorbutico dalla voce sonora e rauca; e l’indimenticabile Elena Brizzi, spigliata signora nell’eterno ruolo della chiacchierona, o meglio, come si dice qui a Siena, di “ciabattona” della porta accanto. Un’esperienza nata per scherzo che poi è proseguita per quattordici anni, vedendo la sua ultima rappresentazione nel 1991 in onore dell’oramai scomparso regista giraffino. L’autrice affronta anche la drammaturgia degli spettacoli del Vernacolo Clebbe: commedie non tutte originali poiché in parte ricavate da “liberi adattamenti” di copioni degli anni ’30 e ’40. Sottolinea come la tematica del ricordo e quella autobiografica siano quasi due costanti delle “commedie amare” di Bruno Tanganelli: un uomo a cui è sempre piaciuto raccontare e raccontarsi. Le commedie di Tambus sono come la vita: dolci ed amare, fatte di battute scoppiettanti ma anche di problemi quotidiani; quei problemi quotidiani di una Siena semplice che viveva di Palio e famiglia, di amicizia e rione. Sono commedie nelle quali i personaggi spesso ridono per non piangere e, come ricorda puntualmente l’autrice, questo è di sapore tremendamente pirandelliano. Nella parte centrale del volume un ricco apparato fotografico permette ai lettori di rivedere le scene più rappresentative degli spettacoli, come Rosa e il Nonno in “Accosta l’uscio”, l’arrivo di Giuliano in “Il Coccolone” e Monsieur Rabary in “Dacceloo!”. Un libro che arricchisce sicuramente la bibliografia su Siena e sulle sue realtà popolari. Un volume da leggere e conservare, per avere in casa un pezzo di quella Siena vera e verace che a detta di molti starebbe scomparendo definitivamente.

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