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I canti della tradizione popolare senese espressione di cultura e sentimenti condivisi

La neonata Associazione “La Spennacchiera”, sorta a Siena per lo studio e valorizzazione delle tradizioni popolari, debutta con la sua prima pubblicazione (libretto + Cd) intitolata “Tra cielo e pietra”. Una raccolta di 27 canzoni della tradizione contradaiola senese, eseguite dal coro della stessa Associazione, che testimoniano un significativo spaccato di questo patrimonio formatosi lungo gli anni e giunto ai giorni nostri con certe sue peculiarità poetiche e musicali. Almeno da un secolo a questa parte è andato infatti formandosi un canzoniere popolare ‘in uso’ nelle diciassette contrade di Siena, che raccoglie canzoni di variegata ascendenza e che i contradaioli hanno fatto proprie, fino a chiamarle… canti di Siena. Perché tali sono diventati in virtù di ciò che evocano, della forza di aggregazione che essi esercitano, ma soprattutto per come quel cantare, ogni volta smuova e rinnovi un mix di emozioni dove vanno a con/fondersi storie personali e collettive, affetti di singoli e di intere comunità, il vanto di un passato che i viventi di oggi si ritrovano a impersonare e a tramandare. E’, non di meno, un modo per con-vocare e condividere i più diversi stati d’animo: amore, rimpianto, dolore, ironia, vita, lutto, tenerezza.

Un canzoniere popolare e cólto – “Tra cielo e pietra” – grazie alla scelta dei brani, all’esecuzione a tre voci come tradizione vuole, alla interpretazione che sa rendere il giusto ‘clima’ emotivo – esemplifica molto bene la ricchezza di questo repertorio, suggerendo anche riflessioni su come esso possa essersi costituito, sul perché vi si privilegino certi temi invece che altri, sulle forme letterarie e melodiche che lo contraddistinguono. La prima cosa che balza all’attenzione sono i testi. Spesso sorprendenti per quanto mostrino un deciso gusto verso linguaggi arcaici e cólti (del resto così è in larga misura per tutta la poesia popolare toscana) direttamente mutuati dalla letteratura ‘alta’. Pertanto gli uccelli sono “augelli”, un destino infame diventa “sorte crudele e ria”, la donna amata “parea un angelo” e la morte vedrà lei “di bruno vestita”. Così come vi si rintraccia un lessico caratteristico dei libretti d’opera, delle romanze, della canzone italiana delle origini. E, quindi, la gioventù è rimpianta nei suoi “palpiti”; una serenata è rivolta a colei che, noncurante, “dorme fra morbide piume” mentre, invece, il letto dello spasimante “è di ruvidi sassi”; e sorge, ardente, la supplica: “ascolta i miei lamenti / pure gli affetti miei / più viver non potrei / senza il tuo grande amor”. Tale è il repertorio che – dicevamo – discende da stilemi ottocenteschi e dei primi decenni del Novecento. Frequente è il binomio amore/morte, il tema del distacco, del rimpianto, di un fato malvagio. Sentimenti trascritti su pentagrammi di una afflizione indicibile, ma che proprio in quelle meste melodie cercavano consolazione, sublimavano disagi, elaboravano lutti. In una sua intensa pagina lo scrittore senese Federigo Tozzi racconta di ascoltare i canti che gli giungono da un rione della città e coglie, giustappunto, lo struggimento di «quando le donne di Fontebranda cantano, con quelle cadenze d’una stanchezza tanto dolce!». Quanto agli aspetti musicali, risulta evidente il carattere melodico, con una marcata predisposizione alla decorazione e al virtuosismo (elementi, questi, abbastanza comuni nei canti popolari dell’Italia centrale). Però (e in tal caso le analogie sono più di area settentrionale) assai diffusa è a Siena anche l’esecuzione polivocale, una sorta di polifonia ‘spontanea’, che, coerentemente con quanto veniva prima ricordato a proposito del linguaggio poetico, aspira a voler ‘nobilitare’ al massimo quanto con il canto si desideri esternare.

Di origini incerte – Difficile sarebbe stabilire attraverso quali situazioni, eventi, relazioni umane e interscambi si sia composto questo ‘canzoniere senese’ (tramandato oralmente e, perciò, continuamente rivisitato, arricchito ma anche depauperato nel corso del tempo) che mette insieme canzoni d’amore, canti della tradizione anarchica (come “Sante Caserio” e “Son cieco”), stornelli, rispetti e classici del folclore toscano (quali “Un bel giorno andando in Francia” e “Maremma amara”), spassose (talvolta triviali) canzoncine giocate sul doppio senso (vedasi alcuni stornelli che nuovamente attingono dalla tradizione toscana), fino a pezzi della musica pop italiana degli anni Cinquanta del secolo scorso (è il caso di “Buon anno”, vincitrice nel 1956 della trasmissione televisiva “Canzonissima”, che all’epoca si chiamava “Le canzoni della fortuna”).
Salvo qualche eccezione, risulta impossibile – come è del canto popolare in genere – risalire ad autori e luoghi d’origine. Possono, talvolta, essere fatte delle supposizioni. Ad esempio per certe canzoni che, pur in versioni diverse, si riscontrano anche nel Nord-Italia (tra queste “Fiocca la neve”, “Son l’undici di notte”) e che probabilmente sono entrate nel repertorio senese per voce di uomini ritornati (fortuna loro!) a casa nei rioni senesi dopo aver combattuto nella Guerra del 1915-18. Sono bensì sicure le origini di un repertorio ‘moderno’ (già siamo, infatti, nel secondo Novecento), dovuto all’estro e alla sensibilità di due autori senesi: Enzo Bini detto ‘il Gessaiolo’ e Mario Mariotti. Bini produce canzoni che per temi e linguaggio (“la vita è bella assai / beato chi conobbe la felicità / ch’io non conobbi mai”) possono dirsi ancora nel solco ‘romantico’. Le composizioni di Mariotti presentano, invece, versi (e musica) che lo assimilano allo stile della moderna ‘canzone d’autore’ (“E’ sera / già ti accarezza un vento / profumo di ginestra”). Inoltre con lui si è inaugurato un genere (tutt’oggi ha degli emuli) e creato un’equazione sentimentale: amare Siena è amare tout court.

Cantare insieme – Ciò detto, e per tornare ai significati che la tradizione senese del canto di gruppo induce, merita infine osservare che, per coloro che ne sono interpreti, non è poi così importante il ‘quel che si canta’, ma il fatto stesso di ritrovarsi a cantare. Allorché, intonando un repertorio a tutti noto, anche gli assenti paiono tornare, gli affetti dichiararsi, i sentimenti giungere a raccolta. Basta, insomma, un canto a rivelare intimamente quanta gente e quante emozioni possano abitare in quello spazio che a Siena sta, appunto, tra cielo e pietra.

Articolo pubblicato su Il Corriere di Siena del 14/12/2012

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