Un tempo collezionavo penne stilografiche. Ne ho di tipi diversi, alcune a me particolarmente care. Mi piaceva la scrittura a mano, per l’idea che le parole fossero in quel modo più preziose, soppesate, scelte; perché, con il poeta Seamus Heaney, ero convinto di poter materialmente scavare il mondo scrivendo (“Tra il mio pollice e l’indice / sta comoda la penna. Scaverò con quella”). Il poeta irlandese ebbe tutto il talento per farlo davvero. Come ha scritto Luca Guerneri, “Heaney è uno di quei poeti per i quali la poesia trascorre nel mondo e il mondo in quella, senza apparenti fratture, in una prossimità che è il dono di chi davvero riesce a pensare l’esistenza in versi”. Ecco, infatti, il carisma dei poeti, quello di guardare e pensare poeticamente; di chiamare le cose con le parole giuste, e quindi scriverle. Magari con una penna stilografica.
Sul dono di una penna stilografica
Ora che ho in mano la tua penna
e ho paura
che cessino le poesie,
che dire degli anni
di tutti gli altri doveri
imposti o intrapresi?
Tutto quel «Fa’ agli altri
ciò che vorresti fosse fatto a te»?
Un errore? Virtù?
Sì e no. Intingo e riempio
e ricomincio: dubbi
o non dubbi, lascia scorrere.
[S. Heaney, da Death of a Naturalist (Morte di un naturalista) 1966, traduzione di Marco Sonzogni]