Vivo lontano dalla religione, anzi come ebbi a dire quando mi fu data l’opportunità di quest’appuntamento settimanale sui temi legati alla cultura ebraica, avrei parlato molto di noi e poco di Lui. Parlando di questi argomenti, mi accorgo però che spesso la tradizione è tangente allo spirito, e il rito entra di continuo nella quotidianità. Come a dire che da certi aspetti religiosi è difficile, pur col dovuto distacco, sottrarsi. Cosa c’è in fondo di più “santo” di un bicchiere di vino kasher o di un morso di pane del Sabato? Cosa c’è di più “sacro” di una fisarmonica kletzmer o di una canzone yiddish? In questo mio approccio ad una terrena religiosità rientra l’attenzione che pongo sui devotissimi “Chasidim”, ebrei ortodossi, che ricordano o meglio celebrano in questi giorni i 250 anni dalla nascita del fondatore del loro gruppo religioso: il Rabbino Israel ben Eliezer, meglio conosciuto come Baal Shem Tov che in ebraico vuol dire “maestro del nome divino”. Si riconoscono bene i Chasidim. Quelli con le palandrane nere, gli zucchetti ben calzati, i cappelloni a falda larga e le basette arricciolate sulle tempie. Non che se li facciano mai mancare, ma mai come in questi tempi di festa, il canto e la danza sono attività sempre presenti. Per testimoniare che la forza e l’energia della loro guida spirituale, nonostante i due secoli e mezzo, è sempre più viva e attiva. Come del resto è vivace il “movimento”. Quasi scomparsi dopo la Shoah, sotto scacco da parte dei più secolarizzati, malvisti dai più laici che vedono in loro solo una corrente isolata, tradizionalista e oltremodo beghina; bastonati dallo Zar e dai Bolscevichi, strapazzati dalle rivoluzioni e dalle controrivoluzioni. Eppure, mai come oggi in grande crescita e altrettanto fermento. In linea con chi ricerca dalla propria esistenza una certa tradizione conservatrice e severa, mistica e teologica, più legata ad aspetti dogmatici che dialettici. Fedeli tosti, che non rinunciano mai ad ore ed ore di danze rituali ritmate e iterative, talvolta frenetiche e estatiche. E quando il ricordo è profondo come in questi giorni la catarsi è certa.