Starý Židovský Orbito è il vecchio cimitero ebraico di Praga. È stato in funzione per tre secoli e mezzo, poi, verso la fine del ‘700 è stato chiuso. È un pezzo di terra piccolo e paradossalmente vissuto per essere un cimitero, zeppo di lapidi affastellate l’una sull’altra e immerso tra le case mute e bigie del ghetto di Josefov come se fosse involto in un sudario ferrigno. Il viottolo che gira attorno alle tombe, pare tenere stretti gli steli che spuntano come punte di matite. I rami dei pochi alberi sfogliati ospitano i nidi delle cornacchie che qui sono di casa. Tronchi sottili dalla corteccia biancastra, forse betulle. Evocano il freddo anche d’estate e un gelo che cristallizza perfino il pensiero e che solo questo pezzo d’Europa sa partorire. È qui che nei secoli le anime pie degli ebrei di Praga hanno lasciato che il proprio corpo aspettasse il Messia. Adagiati nei candidi lenzuoli funebri e sospesi fra il ricordo tenero e il niente nero della morte. Migliaia e migliaia di kaddish scanditi nel tempo come melodie iterative; frequenze vocali stratificate parola dopo parola; cadenze sonore impilate per far spazio alla preghiera. E allo stesso modo, anno dopo anno, le sepolture si sono sovrapposte per dar posto ad altre sepolture. Alla fine affiorano solo le pietre tombali, fitte, come emerse da un abisso fatto di memoria. Lastre dalla regolarità aguzza, gotica, si alternano a forme addolcite da flessuosità quasi orientali. Il grigio diventa brunito e poi rosato. Incrocio di culture. Anche da morti. Epitaffi scolpiti con lettere ebraiche incuneate nella roccia, con simboli antichi e preghiere millenarie. Vite trascorse, raccontate da iscrizioni. Popolani, mercanti, madri, scaccini, ragazzi. Studiosi e rabbini. Artigiani e ladroni. Tutti raccolti in questa arcaica Spoon River a sei punte. Più in là, in uno spazio che sembra disposto per deferenza, il sepolcro del Gran Rabbino Jehuda Liwa ben Betzalel. Maestro del pensiero ebraico rinascimentale, mistico di grande fama e cabbalista. Si dice che avesse dato forma e vita al Golem, il gigantesco umanoide fatto di argilla. Sulla sua tomba, come su quella dei tanti sconosciuti, dei mucchietti di pietre. Coprono occhi che non potranno mai più vedere, trattengono i desideri affinché possano essere esauditi.