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Golem. La sindrome mistica di Gerusalemme

Mi colpì, entrando a Gerusalemme dalla Porta di Damasco, un suonatore di lira vestito da Re Saul. Corona in testa, una lunga tunica color cobalto, una barbetta rossiccia curata appunto da Re e un piccolo scettro appoggiato alla parete dell’antico passaggio. Strimpellava, tuonando con accento irlandese e tono mosaico, sui mali del mondo e come la preghiera, lo avrebbe potuto salvare da un destino infernale ormai segnato. Sean, che voleva farsi chiamare Re, non era che uno dei tanti, che da Gerusalemme non sarebbe mai ripartito e che non poteva fare a meno di vivere fra i luoghi più santi del mondo e Kfar Saul, l’ospedale psichiatrico che cura le menti folgorate proprio da quella storia vetusta e sacra. L’hanno chiamata “Sindrome di Gerusalemme”; spogliandola da ogni aspetto mistico e riportandola ad un nome da glossario patologico e colpisce un centinaio di persone all’anno. Cento anime pie che di fronte alla Città Santa, a quelle pietre ultraterrene, a quel suolo calpestato da profeti e messia, agli edifici della divinità e della genesi entrano in una tempesta religiosa e psichica dalla quale si esce, se si esce, dopo una permanenza a Kfar Saul. Dietro al cancello brunito dell’ospedale dei mistici, divisi in modo paradossale fra i reparti del Vecchio e del Nuovo Testamento, si trascinano gli sguardi spiritati dei tanti nuovi Mosè, Gesù Cristo, Isaia, Maddalena, Erode, Noè, Giovanni Battista. Ad alcuni bastano dei giorni per tornare il “signor Rossi” di sempre, altri affogano in quella vertigine devota per mesi e anni, per altri ancora la vita precedente diventa un ricordo profano inghiottito dai labirinti del nuovo pensiero ossessivo. Per questi ultimi, corpi guidati dalle compulsioni religiose più profonde, è nato un villaggio sulle colline accanto all’ospedale, a oriente della città, dove i pazienti e le loro famiglie possono trovare un alloggio e un’adeguata assistenza psichiatrica. Non c’è distinzione religiosa fra i clienti di Kfar Saul. Ebrei, cristiani, musulmani. A Gerusalemme la mente credente in corto circuito non fa sconti a nessuno. Si spoglia del presente e regala una nuova identità fatta di amnesia e di preghiera tormentosa. Fugge dalla ragione e si affida al miracolo, al lamento, alla penitenza. Avvolge e sconvolge in un tremito lisergico e doloroso che trova pace solo a Kfar Saul.

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