Sull’orlo dell’ammutinamento, ecco come si sentivano Esther e le sue compagne. La causa, quella guerra dannata dalla doppia faccia. Da un lato, la forza e la passione della scelta; di aver lasciato l’amore e la vita nella Palestina del ’43 per il Cairo, volontarie ebree a seguito delle truppe di Sua Maestà; servizio di logistica e supporto contro i nazisti. Dall’altro, la frustrazione di essere state rinchiuse in una stanza segreta male illuminata in fondo a una cantina bollente e umida. Un buco assai più cieco del vicolo che lo ospitava. Ammutinamento. Quale altra forma di ribellione? Loro, giovani ausiliarie “sabra” dell’esercito britannico, forti e motivate, pronte a fermare i tedeschi a El Alamein, costrette invece a passare giorno e notte segregate in un pertugio tanfoso, a forare delle tessere di cartoncino color mattone. Quello era il lavoro richiesto: trapassare, con una pinza di quelle che si usano per fare i buchi alle cinture, una montagna di pezzetti regolari di cartone. Seguendo un ordine noioso e preciso, monotono quanto apparentemente inutile. Sedute con rabbia fra i coriandoli della carta rimossa e i biglietti vergini compostamente impilati. Appoggiata al muro scrostato dal salnitro, una grossa macchina di metallo nero, una gigantesca macchina per scrivere inghiottiva le cartelle pronte una dopo l’altra senza soluzione di continuità. Sferragliava e trangugiava in continuo quel pasto di cellulosa sforacchiata. Elaboratore elettromeccanico: ecco come si chiamava. Sofisticato manufatto capace di assumere informazioni in codice binario attraverso schede perforate e di elaborarle sfornando preziose indicazioni. Dallo scantinato del Cairo, grazie al lavoro delle soldatesse di David sull’orlo di una rivolta, passarono i calcoli delle traiettorie balistiche e di tutta l’organizzazione logistica dello sbarco alleato in Sicilia. Esther Herlitz oggi ha 86 anni, è stata deputato laburista al Parlamento di Israele e ricorda con orgoglio quel passato di programmatrice forzata.