Bolle e ribolle lo spirito antisemita nella Polonia dell’immediato dopoguerra. Nella percezione comune, loro, i nazionalisti polacchi, cattolicissimi, si sentono le vere vittime e non quella manciata di ebrei cenciosi che tornati dai campi di concentramento hanno sposato la causa comunista. Com’è potuto succedere che loro, eroi della guerra mondiale, combattenti contro il nazismo, si fossero trovati, appena sbarcati nel ’46, fuori da una classe dirigente che ormai, pensano, è in mano a una ciurmaglia di giudei comunisti? Si stava creando una miscela esplosiva. Da una parte lo spettro della falce e martello russa che incombe, dall’altro un’opinione comune alla deriva razzista. Il tutto condito da una chiesa incapace di prendere posizioni nette che si ritrova invece a dovere contrastare il comunismo e coabitare con quella spina nel fianco che è il mondo ebraico, anche se ormai ridotto ai minimi termini. Trovare un capro espiatorio nei quattro gatti scampati alle camere a gas diventa gioco facile. Dare una lezione agli ebrei, per dare una bastonata al comunismo e sperare di rimettere la Polonia di nuovo in mano a chi pensava di averne il diritto esclusivo: ecco la strategia perversa. In questo clima a Kielce, cittadina fra Cracovia e Varsavia, esplode uno dei peggiori e più subdoli “pogrom” della storia. Si sparge la voce che un bambino cristiano di otto anni, tale Henryk Blaszczyk, fosse stato rapito dagli ebrei dei casermoni di via Planty e che fosse stato rinchiuso nelle cantine insieme a tanti altri bambini. Come un’onda anomala la falsa notizia comincia a deflagrare aggiungendo detriti antisemiti alla piena montante. Parole a effetto come sangue, sacrificio, assassinio rituale cominciano a girare nelle strade dell’ignoranza e ad affilare le punte dei forconi della folla inferocita. I 140 ebrei reduci dai campi – su 24.000 deportati – vengono assaliti, picchiati a sangue, massacrati. Uomini, donne, bambini: per il mattatoio va bene tutto. 42 anime inermi vengono linciate a morte in un Olocausto che sembra non finire più.