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Golem. I cento impolverati di Budapest

La nuvola di cenere sbuffata dal vulcano islandese Eyjafjallajökull ha un che di biblico, come il suo nome del resto, che pare uscito da uno dei tomi della mistica. Con l’Europa e il mondo intero in ginocchio, con gli aeroporti spettrali e milioni di viaggiatori arresi alla violenza della natura, il fungo fatto di zolfo e polvere, che senza alcun controllo avrebbe potuto oscurare i cieli, è più vicino alle narrazioni profetiche che alla cronaca quotidiana. Più una roba da piaghe e cavallette che da semplice cataclisma naturale. E in un ecosistema così perfettamente vicino all’idea ebraica del Divino, presente e possente, l’altro ieri un gruppo di un centinaio di ebrei provenienti da mezzo mondo sì è ritrovato immobilizzato nell’aeroporto di Budapest. Nel cuore dell’Europa che guarda a oriente, dove per l’appunto, causa voli cancellati, il mezzo mondo è dovuto rimanere lì. Budapest era l’ultima tappa di un lungo viaggio che li avrebbe portati sul percorso della vita di Theodor Herzl che per l’appunto nella città vecchia di Pest era nato 150 anni fa. E i cento viaggiatori avevano compiuto un lungo itinerario intorno alle radici del sionismo, del quale il giornalista e scrittore ungherese Herzl ne era stato il fondatore e animatore politico. Vienna, Parigi, Basilea, la Germania. Poi lì a Budapest, in via Dohány, nella la casa dove era nato e dove ora sorge la Sinagoga centrale e il Museo ebraico. Cento fra uomini e donne che avevano voluto vivere anche in senso geografico i principi ispiratori dello Judenstaat, lo stato ebraico, ipotizzato e progettato proprio da Herzl alla fine dell’’800. Persone qualunque, animate solo da un interesse di carattere storico insieme. Qualche rabbino venuto da Brooklyn e da Israele; Emanuel meccanico di Minsk, tre sorelle lituane naturalizzate inglesi, la tassista di Praga, avvocati, scrittori, bottegai, dentisti, tipografi, madri di famiglia. Una tribù variopinta di ogni età. Ortodossi e riformati, pii e scettici. Insieme in giro per l’Europa. Fermi ora in un hangar pieno di ristoranti e souvenir. Avvolti dal mistero di una nuvola scura dal nome indicibile come si conviene al soprannaturale, in attesa che un cartello luminoso con scritto “imbarco immediato” indichi come per miracolo la strada verso il cielo.

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