Firenze e Siena sono state due città cruciali dell’itinerario intellettuale di Franco Fortini (1917-1994) e a vent’anni dalla morte ospiteranno un fitto ciclo di incontri – dal 20 novembre al 9 dicembre – ed un percorso espositivo multimediale. Si esaminerà l’opera di poeta e saggista, verranno proiettati film che si avvalsero di suoi testi, a partire dalla brechtiana cantata “All’armi siam fascisti” (1961), si rifletterà sul periodo di apprendistato in riva d’Arno e non mancheranno l’esecuzione di canzonette da lui stesso musicate e dipinti e disegni.
Insomma un Tutto Fortini sulla scorta di documenti che rendano intelligibile un discorso sempre controcorrente, mosso da un respiro profetico e da un’ansia etico-politica fuori dal coro. A Firenze Franco Lattes – che firmò per la prima volta una recensione con il cognome della madre, Fortini, nel 1940 – instaurò amicizie che lasciarono un segno incancellabile. Non è stato corretto considerare le vicende che lo coinvolsero nella città natale alla stregua di una sorta di preistoria rispetto alla quale il marxista degli anni maturi avrebbe voltato le spalle. Sarà utile ascoltare la discussione – in agenda il 28 novembre al Gabinetto Vieusseux – per capire meglio quanto la collaborazione ad una rivista come “La riforma letteraria” o la frequentazione di alcuni dei protagonisti della cultura fiorentina tra il 1937 e il 1941 abbiano influenzato una visione del mondo alimentata da un acuto assillo religioso, e da radici ebraico-cristiane mai recise. Fortini conobbe Giacomo Noventa nel ’37, giusto a Firenze, e con lui stabilì una sintonia destinata a rafforzare il senso del primato morale come base di ogni autentica scelta politica. A introdurlo poi nell’ambiente protestante e in particolare nella Chiesa Valdese fu Giorgio Spini, guida autorevole e persuasiva: «mi ha dato fortissimo – testimonia Fortini, battezzato nel maggio del 1939 – il senso della storia, la necessità della concreta incarnazione, e ho letto i testi cristiani insieme con Barth e Kierkegaard».
L’ombra di Dino, il padre ebreo di origini livornesi, incombe su Franco, angosciato dalle feroci persecuzioni che si abbattono sulla famiglia. La mattina del 3 ottobre 1925, una vandalica aggressione scatenata dai fascisti distrugge lo studio del babbo. La lotta politica irrompe brutale e spinge ad accrescere l’impegno. Il luogo dove erano stati immaginati ardimentosi progetti è di necessità abbandonato: «E sempre impenetrabili saranno / le case, gli archi, la pietà / delle chiese che a scaglia a scaglia sempre / la tramontana consuma, città / che non compresi mai, dove portai / la mente opaca, gli inganni / che ora son cella e muro dove m’annido». L’incanto si dissolve e cede il passo ad una resistenza che non si esaurirà con la conclusione della guerra. Fortini diventa partigiano, approda ad un socialismo venato di utopia. La volontà di fissare un modello comunitario che appaghi il desiderio di libertà e giustizia conduce a errori e illusioni. Il lungo viaggio di Fortini sarà tortuoso e furente, inquieto, estremo. E Siena ne fu la stazione finale: Fortini salì in cattedra indossando l’abito di un docente perfetto, minuzioso, filologico, disponibile. Cominciò a insegnare nella neonata Facoltà di Lettere e Filosofia nel 1971. La città non gli era nuova, vi veniva in gita quando abitava a Firenze e la sentiva spazio totalmente altro.
Tanto Firenze s’ergeva altezzosa di esibito virilismo quanto femminea e preservata si offriva ai suoi occhi Siena, chiusa in stilemi medievaleggianti, preindustriale, «murata nel suo dormiveglia». «Si ha l’impressione – mi confidò in un divagante colloquio – che se si dovesse andare in una fenomenologia del negativo qui troveremmo lo scoramento piuttosto che la disperazione». Il celebre professore milanese, a smentita o provocazione, intitolò il corso inaugurale alla “Fortuna degli ‘Inni sacri’ e della lirica manzoniana”. Non era una palinodia. La parola dell’annuncio incarnava l’unica rivoluzione possibile. Il legame con Siena e con la cerchia di amici e discepoli che l’accompagnò negli “inverni di guarnigione” rimase solido anche quando lasciò l’insegnamento. Di tanto in tanto, fino al ’91, vi fece qualche incursione per brevi seminari.
E ora il Centro Studi Franco Fortini custodisce i suoi libri e le sue carte in un Archivio di straordinaria ricchezza. Il direttore Luca Lenzini ha introdotto e curato con magistrale dedizione un mondadoriano Oscar (in uscita) che di Fortini raccoglie “Tutte le poesie”: un canzoniere dove s’intrecciano epica civile e sofferta interiorità, sferzanti passioni e ironico distacco: «Dove ora siete, infelici studenti, / nelle sere delle nevi vane, / aule nere, Siena, di conventi, / trattorie di salsicce, cacio, pane…».
dal “Corriere Fiorentino”, 20 novembre 2014