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Flussi migratori e pasque di accoglienza

“Pasqua” è parola ebraica (pesah) che significa “passaggio”. E’ legata al racconto biblico in cui si narra, giustappunto, del passaggio del Mar Rosso che gli ebrei fecero per liberarsi dalla schiavitù dell’Egitto. Un grande, avventuroso, drammatico esodo la cui immagine viene spontaneo sovrapporre alle odierne migrazioni di massa dove purtroppo il mare non si apre benigno ad analoghe fughe di salvezza. Flussi migratori per i quali necessiterebbero pasque di accoglienza. In ragione del fatto – come ricorda Primo Levi – che “di noi ciascuno è stato schiavo in Egitto”.
 
 Ditemi: in cosa differisce
questa sera dalle altre sere?
Accendi il lume, spalanca la porta
che il pellegrino possa entrare,
gentile o ebreo:
sotto i cenci si cela forse il profeta.
Entri e sieda con noi,
ascolti, beva, canti e faccia pasqua.
Consumi il pane dell’afflizione,
agnello, malta dolce ed erba amara…
Passeremo la notte a raccontare
lontani eventi pieni di meraviglia,
e per il molto vino
i monti cozzeranno come becchi…
Di noi ciascuno è stato schiavo in Egitto,
ha intriso di sudore paglia e argilla
ed ha varcato il mare a piede asciutto:
anche tu, straniero
quest’anno in paura e vergogna,
l’anno venturo in virtù e giustizia.
 
[P. Levi, “Pasqua” da Ad ora incerta]  

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