“Vanno le nevi bianche / e anch’io me ne andrò / non mi rammarico della morte / e non aspetto l’immortalità”. Inevitabile non ricordare questi versi di Evgenij Evtushenko ora che il poeta russo se n’è andato all’età di 85 anni. Nell’Urss post-stalinista fu tra coloro che criticò la retorica del socialismo reale rivendicando ogni libertà d’espressione. Denunciò il massacro degli ebrei di Kiev, si disse contro l’occupazione sovietica di Praga. Dal 1991, in dissenso con il nuovo corso di Boris Eltsin, si era trasferito negli Stati Uniti. C’è chi lo ha comunque rimproverato di comportamenti ondivaghi e di compromesso con il potere. Sferzanti furono le parole pronunciate al suo indirizzo dal poeta dissidente Joseph Brodsky: “Lancia pietre solo nelle direzioni ufficialmente permesse e approvate”. E’ pur vero che Evtushenko amò il suo paese in modo contraddittorio e sofferto. Può essere significativo richiamare quei versi che dicono: “Amare la Russia è felicità plurinfelice. / Cucito a lei sono con le mie proprie fibre. / Amo la Russia e il suo potere tutto vorrei amare, / ma ne ho la nausea, vogliatemi scusare”. Morto in Oklahoma, in un ospedale di Tulsa, ha chiesto di poter essere sepolto a Mosca, nel cimitero russo degli scrittori, vicino a Boris Pasternak. Sulla tomba potrebbe essere scritto: “Non ho saputo vivere in modo irreprensibile, da saggio, / ma voi con debito di colpa rammentatevi / il ragazzino con albore di libertà negli occhi, / luminosa più che vivido raggio”.
Uomini
Non esistono al mondo uomini non interessanti.
I loro destini sono come le storie dei pianeti.
Ognuno ha la sua particolarità
e non ha un pianeta che gli sia simile.
E se uno viveva inosservato
e amava questa sua insignificanza,
proprio per la sua insignificanza
egli era interessante tra gli uomini.
Ognuno ha il suo segreto mondo personale.
In quel mondo c’è l’attimo felice.
C’è in quel mondo l’ora più terribile,
ma tutto ci resta sconosciuto.
Quando un uomo muore,
muore con lui la sua prima neve,
e il primo bacio e la prima battaglia…
Tutto questo egli porta con sé.
Rimangono certo i libri, i ponti,
le macchine, le tele dei pittori.
Certo, molto è destinato a restare,
eppur sempre qualcosa se ne va.
È la legge di un gioco spietato.
Non sono uomini che muoiono, ma mondi.
Ricordiamo gli uomini, terrestri e peccatori,
ma che sapevamo in fondo di loro?
Che sappiamo dei fratelli nostri, degli amici?
Di colei che sola ci appartiene?
E del nostro stesso padre
tutto sapendo non sappiamo nulla.
Gli uomini se ne vanno… e non tornano più.
Non risorgono i loro mondi segreti.
E ogni volta vorrei gridare ancora
contro questo irrevocabile destino.
[Evgenij Aleksandrovič Evtušenko, da Poesie, trad. di Sandra Grotoff, Newton Compton, 1972]