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Eugenio Montale e i travagli dell’esistenza

Rileggere Montale è sempre esercizio utile. Farlo d’estate impone di partire da quel “Meriggiare pallido e assorto” dentro la cui calura incombono le domande sul senso della condizione umana. Difficile scavalcare il muro della conoscenza. Affascinante ma inutile verticalità che con quei “cocci aguzzi di bottiglia” (e tali sono i travagli dell’esistenza) scoraggia, ostacola il salto. Da ciò la consapevolezza, l’accettazione della nostra contingenza.
 
 
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
 
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
 
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
 
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
 
 
[Eugenio Montale, “Meriggiare pallido e assorto” da Ossi di seppia
 

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