Elena Ferrante. La caccia alla scoperta di chi si nasconda dietro tale pseudonimo si arricchisce, oggi, di un’indagine scientifica, quella svolta dallo scrittore Marco Santagata, il quale incrociando biografia a studio filologico dei testi, conclude che l’affermata autrice in incognito sia una compassata docente di storia all’Università di Napoli, la professoressa Marcella Marmo. Lei nega. Intanto la Ferrante continua a macinare copie vendute dei suoi libri: feuilleton? Literary excitement (eccitamento letterario) – come lo ha definito il critico del New Yorker, James Wood? Comunque sia, l’invisibile scrittrice piace e vende. Piace la sicurezza della sua mano narrativa, la definizione dei personaggi e degli ambienti, i sentimenti in cui scava.
“Era stata colpa sua. In un tempo non troppo distante – dieci giorni, un mese, chi lo sa, ignoravamo tutto del tempo, allora – mi aveva preso la bambola a tradimento e l’aveva buttata in fondo a uno scantinato. Ora stavamo salendo verso la paura, allora ci eravamo sentite obbligate a scendere, e di corsa, verso l’ignoto. In alto, in basso, ci pareva sempre di andare incontro a qualcosa di terribile che, pur esistendo da prima di noi, era noi e sempre noi che aspettava. Quando si è al mondo da poco è difficile capire quali sono i disastri all’origine del nostro sentimento del disastro, forse non se ne sente nemmeno la necessità. I grandi, in attesa di domani, si muovono in un presente dietro al quale c’è ieri o l’altro ieri o al massimo la settimana scorsa: al resto non vogliono pensare. I piccoli non sanno il significato di ieri, dell’altro ieri, e nemmeno di domani, tutto è questo, ora: la strada è questa, il portone è questo, le scale sono queste, questa è mamma, questo è papà, questo è il giorno, questa la notte. Io ero piccola e a conti fatti la mia bambola sapeva più di me. Le parlavo, mi parlava. Aveva una faccia di celluloide con capelli di celluloide e occhi di celluloide. Indossava un vestitino blu che le aveva cucito mia madre in un raro momento felice, ed era bellissima. La bambola di Lila, invece, aveva un corpo di pezza gialliccia pieno di segatura, mi pareva brutta e lercia. Le due si spiavano, si soppesavano, erano pronte a scappare tra le nostre braccia se scoppiava un temporale, se c’erano i tuoni, se qualcuno più grande e più forte e coi denti aguzzi le voleva ghermire”.
[da L’amica geniale di Elena Ferrante]