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Danilo Dolci, poeta di realtà e di utopia

Danilo Dolci, insieme a Aldo Capitini e Franco Corbelli, condivise, a ragione, il soprannome di ‘Ghandi italiano’. Per l’impegno sul versante della pace e della non violenza, per la sua instancabile attività di educatore e di sociologo. Ma, da uomo che sapeva il valore e il potere evocativo della parola, fu anche originale poeta. A giudizio di Andrea Zanzotto i versi di Dolci costituivano una delle rare conferme che può esistere poesia “che abbia una connaturalità, una concrescenza con l’azione, pur conservando intatto il senso di una propria necessaria autonomia”. Ovvero una poesia “che, pur incidendo sulla realtà … si conservi tanto umile da non premiare né se stessa né la realtà in quanto presunte separate, e quindi non abbia paura del proprio nome”. Questo riuscì a fare Danilo Dolci, comportandosi da pedagogo anche quando fu poeta. Poeta di realtà e di utopia.
 
 
(due voci nell’autunno)

Anche agli spini nella polvere 
sotto l’intenerirsi della scorza 
ansia preme di aprirsi 
a respirare umida luce 
quando ritorna il sole a intiepidire — 
su questa rossa terra pur l’ortica 
si imbianca di petali. 

Tronchi di gelso tendono moncherini 
rimozzi, 
           piaghe incancreniscono, 
la carie affonda e svuota: i nomi 
i cuori incisi nelle cortecce scagliose 
si sfanno in un turbine di polvere. 
Pure alla terra l’involucro tatuato 
dalla vita nostra, si disfa. 

Oltre le irte acacie 
frullano alti gridi controvento 
di invisibili allodole.
 

Tra i filari le zolle cicatrizzano 
inverdendo di ciuffi mattutini. 

Quando anche il gelso indolcisce 
e vasta la messe squassa, nel secco 
fruscio già striscia il levigato sibilo 
di una selce bagnata sul ferro. 

Anche le stelle 
biancazzurre di notte da lontano 
si animano di fuoco 
                          ma la mia pena 
è oltre ogni nebbia di galassie. 
Il nome che mi chiama non è il mio 
nessun nome è mio. 
Questo corpo che presto sazio e logoro temendo 
si aggruma stordito, 
non è il mio. 
Non sono nato ancora. 
Sto nascendo da sempre 
                               mentre muoio. 

[da: Creatura di creature, Feltrinelli, 1979]  

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