Franco Stelzer non ha la smania del libro in vetrina, tant’è che in diciotto anni ha pubblicato quattro romanzi. Ma, come si sa, il tempo passato a coltivare un’idea, costruire una storia, depurarla di parole inutili è tempo che va a beneficio del risultato. Leggete per credere il suo ultimo libro Cosa diremo agli angeli (Einaudi, 2018). Una storia raccontata in sole 136 pagine, un concentrato filosofico ed emotivo che coglie la vita declinata al minimo, nel suo transito ovvio, ripetitivo. Come può vederla un addetto ai controlli di un piccolo aeroporto – tale è il lavoro del protagonista del romanzo – il quale guarda le persone e immagina. Immagina i loro universi quotidiani, psicologici, affettivi. Finché il controllore che guarda e immagina si concentra su un viaggiatore abituale, che arriva la domenica e riparte il venerdì: “Magro, lo sguardo aperto. Sembra una di quelle persone nate per rendere gli altri contenti”.
Da una certa domenica, però, il viaggiatore che mostrava il passaporto, lo rinfilava veloce in tasca e spariva nella notte, non si presenterà più allo sportello. Scomparso per sempre. Il controllore non rinuncia a fare le supposizioni più inquietanti e tristi. Anche in ragione del fatto che a giungere all’aeroporto sarà un signore che potrebbe essere benissimo il fratello dello scomparso, gli assomiglia. Forse arrivato proprio per comprendere, indagare cosa sia potuto succedere al congiunto. E la storia continua, perché – avverte l’autore – “Diremo agli angeli che abbiamo vissuto come detective ansiosi. Che abbiamo studiato i profili di criminali e lestofanti, acceso speranze nelle vittime, individuato colpevoli ormai datisi alla macchia, risolto questioni alquanto spinose. Ma che ogni volta, scoperta la verità, ci siamo come fermati… perché raggiungere un obiettivo lascia un senso di spossatezza. E, alla fine di tutto, è meglio desiderare.”
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«Mi chiedono che cosa trovi di bello nel mio lavoro. Beh, dico, il fatto di guardare. Guardo la gente. Ce n’è d’ogni tipo.
Ok, mi fanno, però tutte quelle persone le hai davanti solo per un attimo. Il tempo di darti il passaporto e già le vedi svanire verso l’uscita.
È vero. Ma a me non dispiace. Le guardo come fossero insetti. Mi ronzano intorno per un attimo. Io le guardo, e immagino. Mi interessa ogni particolare, dall’aspetto fisico alle piccole abitudini. Le ripetizioni, le ossessioni. Le regolarità.
Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovo in mano una storia.
Ho tanto tempo. Siamo un piccolo aeroporto. I voli sono numerosi, ma non poi così frequenti.
Io guardo, dall’alba al tramonto.
Spesso anche di notte.
E immagino.
Domenica sera. C’è una brezza leggera. Profumo nell’aria.
Eccolo riapparire dalla porta degli arrivi.
È stato contento di rivedere i suoi – pare evidente – e ha fatto fatica a ripartire. Mi consegna il passaporto. Ha il volto tirato, un’ombra sotto gli occhi. Ma non ha perso il tratto gentile. Quando gli riconsegno il documento, mi sorride veloce, lo infila nella giacca e si allontana. Attraverso le porte vedo che qualcuno è venuto a prenderlo. E da come gli si rivolge e gli toglie di mano il bagaglio, intuisco debba trattarsi di un autista.
Il mattino dopo sarà sicuramente, puntuale, sul luogo di lavoro.
Una piccola azienda, con un discreto numero di operai.
Dal piazzale, scendendo dall’automobile, sentirà già il chiasso dei macchinari. E’ un bel rumore sferragliante. Gli piace. All’inizio della settimana, gli dà una sensazione positiva. I muletti sfrecciano dal magazzino alle linee produttive. I capi sbraitano perché venga tenuto il ritmo giusto ai banconi. Le impiegate ticchettano veloci cercando i responsabili di linea per avere delle firme. I camion manovrano precisi negli spazi davanti ai magazzini.
Entra in ufficio e viene salutato dalla segretaria, che lo aiuta a togliersi il cappotto e gli serve subito un caffè. Lui quasi si sottrae, schivo.
La mattina è piena di impegni, telefonate, incontri, l’ispezione di un terreno per un nuovo capannone, una riunione con un gruppo di fornitori. Il pomeriggio, chiuso in ufficio a fare calcoli.
La segretaria silenziosa.
Immagino esca dallo stabilimento che è buio. Un pasto veloce in albergo. Prima di coricarsi, una veloce telefonata con la moglie? Tutto bene. I ragazzi sono fuori. Anche lei si coricherà presto. Mi manchi. Ti manco? Sì.»
[da Cosa diremo agli angeli di Franco Stelzer, Einaudi, 2018