Norvegia. Nel 1990, a soli 14 anni, Iram Haq di origini pakistane viene rapita dalla sua famiglia e costretta a tornare a vivere nella terra di origine per un anno e mezzo. Trascorreranno quasi vent’anni prima che Haq decida di raccontare questa storia in un film. “Cosa dirà la gente” esce nelle sale italiane a sole poche settimane dal giallo di Sana, la ragazza pakistana uccisa dalla propria famiglia a Brescia perché voleva sposare un italiano. Ed è questa la trama del secondo film di Haq dopo il debutto nel 2013 con “I Am Yours”, pellicola particolarmente apprezzata sia dal pubblico che dalla critica. La regista ha voluto raccontare con sensibilità e saggezza l’impossibilità di una storia d’amore, ostacolata dai genitori e soprattutto dalle convenzioni e pressioni sociali. Il pericolo che la regista ha voluto mettere in evidenza non è rappresentato dal fondamentalismo islamico bensì dal conflitto generazionale nel momento in cui si trasforma in uno scontro culturale bigotto.
A Oslo, Nisha (Maria Mozhdah) vive una doppia vita. In casa si comporta come una perfetta figlia di pakistani, rispettando accuratamente i valori islamici. Fuori casa è una normale ragazza norvegese che vuole vivere liberamente le prime esperienze adolescenziali. Una sera Nisha rientra in casa con il suo ragazzo ma verrà sorpresa dal padre che scatenerà un putiferio. Per la famiglia di Nisha ciò che è accaduto è una vergogna e l’imbarazzo è amplificato dall’opinione, ovviamente negativa, da parte della comunità pakistana in Norvegia. Per riscattare l’onore serve una punizione esemplare, così la famiglia, con il supporto della madre e del fratello, porta Nisha in Pakistan dove verrà affidata alla zia.
Il titolo originale è “Hva vil folk si”, che in pakistano significa “cosa diranno le persone”, una frase che riassume la mentalità di una comunità e che rappresenta un problema serio. Nel momento in cui una famiglia viene disonorata, uscire per strada diventa umiliante. L’unico modo per rimediare alla vergogna e alla paura del giudizio degli altri è infliggere una punizione esemplare. Genitori e figli, due generazioni diverse, ma questa diversità a volte può creare una barriera, una distanza, in cui si ribadisce l’esclusività della propria cultura e del proprio modo di pensare. È questo l’intento della regista, ovvero far capire, alle volte, quanto sia veramente difficile per i genitori comprendere e accettare le scelte dei propri figli e il motivo di queste divergenze è spesso legato all’opinione degli altri, di ciò che “dirà la gente”.