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Claudio Tolomei, umanista senese del Cinquecento

Nell’immaginario Pantheon delle celebrità senesi ha (ingiustamente) un posto in penombra Angelo Claudio Tolomei – umanista, filologo, poeta, ecclesiastico, diplomatico – nato ad Asciano nel 1492 e morto a Roma il 23 marzo 1556. Oggi, a rimettere in luce il personaggio è la Pro Loco di Asciano che, insieme ad altre iniziative, ha commissionato all’editore Olschki anche la ristampa del libro di Luigi Sbaragli “Claudio Tolomei, umanista senese del Cinquecento”, pubblicato nel 1939 dall’Accademia per le Arti e le Lettere di Siena. Il volume resta tuttora la biografia più completa che si abbia dell’insigne umanista, grazie a un meticoloso e tenace lavoro di ricerca svolto dall’autore su manoscritti e documenti d’archivio, compiendo, come gli fu riconosciuto a suo tempo, “il più ch’era in poter suo e nelle speranze”. Era infatti vero che – allora come ora – il Tolomei risultava noto per essere soprattutto lo studioso della lingua italiana e della riforma ortografica, ma poco o niente si conosceva del suo impegno di critico letterario, poeta, diplomatico, ecclesiastico, organizzatore culturale.
 
Le ragioni di un disamore – Nel libro viene ricostruito, peraltro, anche il difficile rapporto tra Tolomei e la città di Siena. Spiegando, indirettamente, come l’oblio senese che avvolge Claudio trovi deposito negli incredibili sedimenti – in tal caso quelli del rancore – che la storia lascia in sospeso lungo il tempo e nel sentire comune. Perché troppo filomedicee furono le posizioni politiche del Tolomei, troppo astiose le sue posizioni nei confronti del “popolo ignorante”. Quando poi (25 luglio 1526, battaglia di Camollia) fu visto fiancheggiare le truppe papaline nella speranza di riconsegnare la città al Governo dei Nove, i Senesi ritennero che la misura fosse davvero colma, tanto da decretarne l’esilio. Si dovette giungere agli ultimi e tormentati anni della Repubblica senese per richiamare in patria l’illustre cittadino e nominarlo (1551) ambasciatore presso il re di Francia Enrico II, affinché Sua Altezza incrementasse il proprio impegno militare per cacciare gli Spagnoli da Siena. Come è noto, a poco servirono le regali promesse, le suppliche, le ambascerie e le ambasce del Tolomei. E allorché Siena dovette arrendersi all’esercito ispano-fiorentino, il poeta Claudio pianse sincere lacrime nel vedere “i bei palazzi guasti e strutti intorno, / le città spente e le campagne accese, / l’aggiugner nuove ingiurie a fresche offese, / e veder atra notte a mezzo il giorno”.
 
Uomo di mondo – Il racconto biografico dello Sbaragli va comunque ben oltre le beghe senesi, anche perché la vita del Tolomei si svolse quasi tutta lontana da Siena. Subito dopo l’esilio venne accolto a Roma sotto la protezione del cardinale Ippolito de’ Medici, dove si manifestò immediatamente il suo carisma di organizzatore culturale. Dai ritrovi a casa Tolomei e per iniziativa di Claudio nacque nel 1542 l’Accademia della Virtù, presieduta da Marcello Cervini, grande appassionato di alchimia e architettura e futuro papa con il nome di Marcello II. Il sodalizio vide il sostegno di una notevole schiera di intellettuali e artisti del Rinascimento italiano. Quando (1545) Pier Luigi Farnese divenne duca di Parma e Piacenza volle che il Tolomei lo seguisse al suo servizio affidandogli la presidenza del Supremo Consiglio di Giustizia. Nel 1549 fu nominato vescovo da Paolo III. Una sorta di tardivo riconoscimento che come tale fu visto da molti amici del Tolomei, tra cui Pietro Aretino, il quale non poté fare a meno di ironizzare sulla generosità del nominato decisamente superiore a quella del nominante: “il vescovado deve compiacersi più di voi vescovo, che voi vescovo non vi compiacete di lui vescovado”.
 
La lingua italiana, anzi toscana – Come già detto, merito delle pagine dello Sbaragli è l’avere ricostruito l’intera vicenda esistenziale e intellettuale di Claudio Tolomei, solitamente affidata a svelte note biografiche che lo ricordano prevalentemente per i suoi scritti dedicati alla lingua italiana. E’ comunque indiscutibile che proprio questi scritti hanno fatto sì che il fecondo poligrafo entrasse a pieno titolo nella storia della linguistica e della letteratura. Tutt’oggi il nostro italiano applica regole di ortografia e fonetica dettate dal Tolomei, quali, ad esempio, quelle indicate nel “Trattato del raddoppiamento da parola a parola”. Tra le opere in materia, di notevole importanza risulta “Il Polito” (1525) laddove in forma di dialogo vengono confutate le riforme ortografiche proposte da Gian Giorgio Trissino. Quindi “Il Cesano de la lingua toscana” (stampato dal Giolito nel 1555 senza il consenso dell’autore, che lo aveva composto circa trent’anni prima). Qui a sostenere la discussione è, giustappunto, Gabriele Maria Cesano, che deve fronteggiare, tutti insieme, Pietro Bembo, lo stesso Trissino, Baldassarre Castiglione, Alessandro de’ Pazzi. Costoro sostengono che volendo dare una definizione alla lingua italiana, debba chiamarsi ‘volgare’, ‘fiorentina’, ‘cortigiana’ o ‘italiana’. Il Cesano (alter ego del Tolomei) bada invece a dimostrare la ‘toscanità’ della lingua italiana. Tesi che portava anche al superamento delle mai dome diatribe su quali maggiori ascendenze – ‘fiorentine’ o ‘senesi’ – avesse il nostro parlare. Nessuno – ribadisce il Tolomei – ha da ostentare su altri il privilegio di quella lingua, se non la Toscana intera. Dal desiderio di mostrare la maturità letteraria del volgare nacquero i “Versi et regole de la nuova poesia toscana” (1539), scritto in collaborazione con altri letterati a lui vicini e dove, con alcuni esempi di versificazione, vengono esposti i precetti per l’applicazione della metrica latina (quantitativa) a quella italiana.  Tanta fu la dedizione del Nostro a stabilire regole e modalità d’uso della lingua italiana che non gli mancò nemmeno lo sfizio di giocarci, come fece in quel gustoso calembour indirizzato all’amico Giovanni Maria Benedetti: “Vi scrissi, e non fu scrivere, perché vi scrissi senza aver che scrivervi, né senza materia da scrivere si può veramente scrivere: e chi vi scrive senza sostanza di scrivere, scrivendo non scrive. State sano, e se pur volete che io vi scriva, scrivete”. Dotto, divertito e divertente fu Claudio Tolomei, come ogni vero umanista che si rispetti.
 

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