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Claudio Piersanti e la forza di gravità, quella della vita

Si chiama Dario Posatore il professore protagonista de “La forza di gravità”, ultimo romanzo di Claudio Piersanti (Feltrinelli, 2018). E’ un professore in pensione senza pensione, misantropo, disilluso, ex ribelle che rifiuta di adeguarsi al mondo attuale e che si è creato, in alternativa (e in ostilità), un mondo tutto proprio. Visti i tempi, merita tutta la nostra comprensione. Il mondo surreale dell’anziano insegnante e i messaggi che da lì filtrano, sono – almeno sul piano simbolico – non poi così assurdi.

Unica ad entrare quotidianamente in quell’universo bislacco è la giovane Serena, orfana di madre (padre pressoché assente), dog sitter, che abita con la zia melomane nello stesso condominio del Professore situato in una periferia desolata e inquietante. Tra i due nasce un forte rapporto di affezione. Il Professore aiuta Serena a prepararsi al test di ammissione alla Facoltà di Medicina, a darsi un metodo di studio, a scoprire il fascino della conoscenza. Nei confronti della ragazza (a suo modo, anche lei, un essere fuori dal mondo) il professor Posatore sembra quasi esercitare la premurosa paternità che non è riuscito, invece, a praticare con la sua vera figlia. Un legame di reciproca sollecitudine che a un certo punto vedrà ribaltare i ruoli, allorché Serena si ritroverà a leggere “Pinocchio” al vecchio-bambino Dario, il quale – con tutte le conseguenze del caso – stava forse esagerando nei suoi gesti radicali e di disprezzo verso la società: sgomberato il salotto, lavorava alla costruzione di una ghigliottina alta tre metri, in legno e acciaio. Installazione dai forti significati di ribellione. Inevitabile l’intervento di sanitari, forze dell’ordine, uomini di legge. Sarà ancora Serena ad essergli accanto in queste circostanze, senza comunque tralasciare lo studio che la porterà alla laurea in medicina (del resto “tra le tante illusioni, quella di imparare è la migliore”, dirà il docente alla discente).

In un siffatto clima surreale, onirico, di sottesa poesia, appare chiaro che la legge di gravità cui allude il titolo del romanzo non ha niente a che vedere con la teoria fisica, ma piuttosto con ciò che nella vita (persone, idee, sogni, frustrazioni) spinge a incontrarsi e a separarsi.
 
***
 
“Davvero non vuole dirmi a cosa serve tutto questo legno?”
“Dovrei dirti troppe cose di me… Sarebbe lungo e noioso. E sai che c’è? Quando un uomo ha avuto l’esistenza caotica che ho avuto io non deve raccontarla. A un certo punto della mia vita ho capito che diverse persone credevano che mi inventassi tutto. Così ho stabilito che non valeva affatto la pena raccontarmi e ho risolto il problema. Il passato non mi interessa. Io sono il suo risultato. Un calcolo inutilmente complicato, spesso inelegante, approssimativo, che sarebbe stupido rifare a ritroso.”
“Io l’ascolterei volentieri, e non dubiterei mai di quello che mi dice”.
“Grazie. Una volta lo farò. Sì, se vuoi ti racconterò qualche episodio buffo.”
“So già che ha viaggiato, che ha studiato in una università prestigiosa…”
“Contano i risultati, cara Serena, solo quelli. Io non ho scoperto niente e non ho fatto niente di importante, niente di originale. Ho capito con grande fatica quel che hanno inventato gli altri ma non ho aggiunto niente. Ho avuto diverse vite, diverse possibilità, ma il risultato è identico per tutte: da questa testa e da queste mani non è nato niente. La mia vita è stata operosa ma inutile.”
“Sapere tante cose non è mai inutile.”
“Forse hai ragione. Ma è doloroso!” Il Professore sorrise come un bambino e inspirò una boccata profonda. “Dovessi dire cosa mi è piaciuto di più al mondo, ti direi: questa sigaretta. E poi un’altra cosa: da giovane ho imparato a ribellarmi e anche la ribellione mi è piaciuta. Esteticamente, diciamo, per pura bellezza. Non ho mai commesso la volgarità di credere in un miglioramento o in una società ideale! Ti faccio vedere una foto di quando avevo vent’anni.”
Andò a cercare in un cassetto e tirò fuori una foto ingiallita. Si vedeva un ragazzo col viso coperto da un fazzoletto che lanciava una molotov contro il fumo denso dei lacrimogeni che aveva davanti. Soltanto in basso, sotto al fumo denso, si intravedevano alcuni scarponi di poliziotti.
“È lei?”
“Sì, giuro, sono io.”
“E perché lo faceva?”
“Perché ero infelice, rabbioso… perché odiavo tutti.”
“Più o meno come adesso”
“Credevo di essere anarchico e invece ero già un vecchio nichilista.”
“Non ho mai capito chi è, un nichilista”
“È uno arrabbiato che vuole rompere tutto. Senza pensare troppo alle architetture della società, alle politiche da elaborare. Rompere tutto quello che c’è attorno. Così. Per rabbia. Senza nessuna speranza in un mondo migliore. Solo per manifestare il risentimento.”
“Non capisco, Professore, non ho studiato abbastanza per capirla. Però ricordo bene che mia madre diceva sempre: il risentimento fa male prima di tutto a te che lo provi. E credo avesse ragione.”
“Dal suo punto di vista aveva ragione senz’altro. Era così dolce, tua madre, era un piacere incontrarla per le scale e dirle buongiorno. Per carità, anche tua zia è una brava persona, ma non sembravano sorelle. Ero appena arrivato in città e ricordo che non mi piaceva, rimpiangevo il Nord, le sue nebbie, i suoi silenzi…”
“Ma se qui non le piaceva perché ci è venuto?”
“Per insegnare… l’unica cosa che potevo fare a quel punto. Vinsi una cattedra qui e ci venni, come tanti, come tantissimi… Siamo arrivati come mosche sulla carne marcia e abbiamo creato questa città infernale.”
“Quando si mettono insieme milioni di persone come si fa a giudicare, Professore? Io vedo tanta gente onesta che non fa niente di male.”
“Allora forse non ci vedo più bene… ti credo. In fondo tutte le città sono orribili. A un certo punto i pittori hanno cominciato a rappresentare la folla con tanti puntini… siamo tanti puntini, un brulicare d’insetti. E al contrario degli insetti, noi siamo una comunità involontaria, formiamo un insieme di puntini ma ci disprezziamo. Non è più naturale il nostro stare insieme, è una necessità e una prigione. Noi ci odiamo.”
All’improvviso Fox si alzò e si avvicinò al Professore. Lo guardò e gli sfiorò una mano con il muso, come se volesse intervenire nel discorso.
“Vuole una carezza,” disse Serena. “Guardi che le chiede solo a me, è un grande onore che le fa.”
Il professore accarezzò a lungo il cane.
“Sei un bravo cane, sì. Anche tu capisci tutto, come la tua padrona.”
Se in quel momento Fox avesse detto una frase qualsiasi, anche di circostanza tipo “stai su, vecchio mio”, Serena non si sarebbe stupita. Pensò che doveva affrettarsi a diventare medico, se voleva curare in tempo la malinconia del Professore. Un uomo che sapeva leggere la fisica di Einstein non poteva sentirsi così e coltivare pensieri tanto crudeli. Non era più in sintonia con il mondo e lei non aveva nessuna autorevolezza per trasmettergli un altro modo di vedere le cose. Decise di provarci, guardando il pavimento scuro davanti a lei, protetta dai capelli che le facevano da sipario.
 
[da La forza di gravità di Claudio Piersanti, Feltrinelli, 2018]

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