Giorni fa Guido Ceronetti ha compiuto novant’anni, festeggiato da amici ed estimatori in quell’ansa di mondo che è Cetona, dove lo scrittore vive da alcuni decenni. “90 anni di solitudine” era il titolo dello spettacolo teatrale da lui stesso ideato per l’occasione. In tal caso la solitudine è indubbiamente quella di un intellettuale che sfugge ad ogni classificazione. Filosofo apocalittico, critico sferzante della modernità e delle sue derive, raffinato traduttore di testi biblici, poeta dissacrante, ironico, ma anche compassionevole della condizione umana. Verso la fine degli anni Ottanta ebbe a dichiarare in un’intervista: “… Finora è andata bene. In Italia non mi hanno ancora schedato tra i ‘poeti del Novecento’, un colombario triste dove non si portano, per risparmio, che fiori di plastica, dove si sta disgiunti per sempre dal cuore dei vivi. No… Con mani libere, brancicando la tenebra insolubile che è la vita, il destino umano, da parecchi decenni traccio qualche ideogramma di compassione, di ricordo e di desiderio della luce, in forma di grido ritmato. Si può anche chiamare questo lavoro poesia, ma il mio scopo si esaurisce nel ‘medicare’ in fretta, mediante l’idea e il suono… Qualcuno che sia in pena, e non refrattario a questi richiami, passando, e sentendo la voce, entra…”. Riflette sulla condizione umana anche il testo poetico che qui si propone e che insinua il dubbio di come nel nostro esistere ci sia stato un iniziale errore di stampa. Siamo, insomma, una bozza non corretta e ormai incorreggibile.
Chi ha orecchie in tenda
chi ha orecchie in tenda
Dice e ripete l’oscuro Giovanni
sgranando al porto le sue visioni
tra le grida dei friggitori
e le scannate angurie.
Io le orecchie le ho e in questa tenda
ci sto da molti anni.
Ma verrà mai qualcuno?
Una mano che getti una voce?
Che ci sia stato fin da principio
Un errore di stampa?
[Guido Ceronetti, da La distanza, Rizzoli, 1996]