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Buon compleanno Giosue. Carducci, una vita da poeta

Nella sua ultima “apparizione” è intento a liberarsi la vescica davanti ad un portone, dopo una serata ad improvvisare endecasillabi e bere vino con i vecchi amici. Così Marco Malvaldi nel suo “Odore di chiuso” immagina Giosuè Carducci nelle serate estive a Bolgheri.
Di lui e della sua opera, la scuola post unitaria ne ha fatto un Vate, per generazioni di studenti è stato un terrore, obbligati a mandare a memoria “I cipressi che a Bolgheri alti e schietti/van da San Guido in duplice filar”, oppure “L’albero a cui tendevi / la pargoletta mano”. Recentemente anche Fiorello è riuscito ad imporre la sua vena popolare trasformando “La nebbia a gl’irti colli” in un motivetto di successo.
Ma se la sua fama rimane ancora oggi legata a quei versi, appare offuscata la memoria della sua biografia che fu intensa, appassionante e tutta dedicata alla poesia. Per questo Luigi Oliveto, giornalista e poeta egli stesso, ha voluto raccontarla in “Una vita da poeta” (Edizioni Effigi/Primamedia editore) che verrà presentato oggi a Castagneto Carducci (Museo archivio carducciano, ore 18) da Roberto Barzanti in una iniziativa del portale toscanalibri.it e del comune di Castagneto intitolata “Buon compleanno Giosue”.
Giosue (l’accento finale aveva voluto toglierlo in tarda età), infatti, era nato il 27 luglio 1835 a Valdicastello in Versilia e, dopo il pellegrinare giovanile al seguito del babbo Michele, medico e patriota, era arrivato a Bolgheri e Castagneto, finendo per legare per sempre il suo nome a quello dei due borghi affacciati sulla Maremma dei Della Gherardesca. E anche se la vita lo aveva portato lontano, e a Bologna era diventato una celebrità nazionale quale titolare della cattedra di eloquenza fino ad ottenere, primo italiano, il premio Nobel nel 1906, aveva sempre voluto tornare tra queste genti.
Fu figura di spicco dell’anticlericalismo allora in voga, la poesia “A Satana” era recitata dagli anarchici e repubblicani in tutta Italia, ma finì per cantare un’ode alla Regina Margherita, che gli procurerà non pochi strali dalla sinistra ma anche la nomina a senatore del Regno. Nei sentimenti fu anticonformista, con molte storie di amori e passioni, come quella per Carolina, sposata con un ufficiale ex garibaldino, che sul letto di morte fu vegliata dal marito e, appunto, dal sommo Poeta. Una vicenda di menage à trois indubbiamente all’avanguardia per l’epoca. Ma in tutta la vita il suo rifugio sicuro rimase quel tratto di Maremma dove con gli amici amava fare “ribotte” a base di poesie improvvisate e gastronomia. E poi la notte davanti ai portoni….

Pubblicato su La Nazione, 27 luglio 2011

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