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Banana Yoshimoto, aggraziata esploratrice dei sentimenti

Banana Yoshimoto, popolare scrittrice giapponese, non difetta di autostima: ambisce al Nobel per la letteratura. Suvvia, non esageriamo, anche se l’austera (?) accademia svedese ci ha ormai abituati alle scelte più imprevedibili. Diciamo che la signora Banana (il suo vero nome è Mahoko) debba già essere soddisfatta di quanto le viene riconosciuto da lettori e soprattutto lettrici. Cioè quella sua certa grazia di pensiero e di scrittura che con garbo molto nipponico esplora i sentimenti umani – amore, dolore, amicizia – ricordando quanto in essi ci sia di universale. Non sfugge a tali intenti nemmeno l’ultimo romanzo tradotto in italiano, Le sorelle Donguri (Feltrinelli, 2018) che nella semplicità di una vicenda (una favola) contenuta in un centinaio di pagine ha il pregio di far riflettere sul mondo virtuale, su come la Rete sia al contempo estraniante e socializzante, vera quanto lo sono i sogni.

La storia è questa. Una ragazzina, Guriko, chiusa dalla mattina alla sera nella sua stanza (una sorta di clausura) gestisce, insieme alla sorella Donko, un sito di posta che si chiama “Donguri shimai” (Le sorelle Donguri) a cui scrivono persone tormentate da problemi, affetti, perdite. Quando giunge il messaggio di una donna che piange la morte del marito, a Guriko torna in mente il suo primo amore, Mugi, incontrato sui banchi di scuola e poi sparito nel nulla. La ragazza decide così di volerlo ritrovare, abbandona l’eremitaggio della propria stanza e si mette alla ricerca. Fino a scoprire che l’uomo morto di cui parlava la e-mail, altri non è che Mugi. Ecco, allora, la necessità di elaborare il dolore, condividerlo, inscriverlo nella vita che comunque continua: “Una persona muore e fa un cerchio sull'acqua che si allarga a includere chi gli sta intorno. Ciascuno di noi occupa una porzione di spazio in questo mare enorme che è la somma di tutte le nostre anime, ed è uno spazio uguale per tutti.” 
 
***
 
«Fra una cosa e l’altra il tempo passò più in fretta, e si era già in inverno. Era più di un anno da che avevamo iniziato a lavorare come sorelle Donguri. Da quando facevo questo lavoro – ma forse tutti quelli che usano internet provano la mia stessa sensazione –, il contatto con il mondo immenso, sconfinato dei rapporti umani mi dava l’impressione che qualcosa di enorme, forse l’universo, forse la realtà, facesse capolino di tanto in tanto nel mio quotidiano.
Se penso a quanto sia effimera la nostra esistenza in mezzo a questa enormità di informazioni, al torbido risentimento che alcuni ci riversano addosso senza neanche conoscerci, o alla gratitudine incondizionata e calorosa di altri, in questo mare sconfinato mi rendo conto che, in termini di passione, gli uni e gli altri non sono poi così diversi. Tutti noi non badiamo alle cose di poco conto, continuiamo a svolgere come meglio possiamo le operazioni quotidiane (comprese naturalmente quelle più necessarie come mangiare e dormire), tiriamo avanti, accettiamo i cambiamenti oltre alla cosa più importante: che siamo destinati a cambiare. Ogni giorno applichiamo questo modo di vivere alla società di cui facciamo parte… Ma allora perché le parole dolci e i gesti d’affetto sanno ancora renderci tanto felici? Credo che dipenda dal fatto che tutti, a livello fisico, continuiamo a nascondere una parte selvatica. Una volta capito questo, il mistero stesso della vita inizia a sembrarci più reale. Non ci importa se è bello o di nostro gradimento: semplicemente ci attacchiamo a questo mondo come parassiti, come virus, e con tenacia continuiamo a vivere. Tessiamo l’ordito del nostro quotidiano lungo la soglia che divide le funzioni di tutti gli organismi viventi e la coscienza che percorre l’universo.
Ed è su questa soglia che noi, le sorelle Donguri, abbiamo tessuto la nostra ragnatela e occupato la nostra piccola porzione di spazio. La nostra sola certezza è che ci troviamo qui. Tutti sono convinti che i problemi siano qualcosa di personale, ma, nell’immensità che ci circonda, è più inquietante pensare a come ogni cosa sia collegata alle altre. Ecco perché in tanti preferiscono scrivere a noi anche se hanno già qualcuno accanto. Vogliono avere la certezza che lanciando un sassolino in questo oceano così vasto potranno vedere comunque i cerchi nell’acqua. Vogliono sapere che dall’altra parte c’è qualcuno, anche se si tratta di qualcuno che non potranno mai vedere.»
 
[da Le sorelle Donguri di Banana Yoshimoto, trad. di Gala Maria Follaco, Feltrinelli, 2018]  

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