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20 agosto 1911, il furto della Gioconda. La vera storia e i tanti misteri cento anni dopo

Domani notte saranno cento anni esatti dal colpo più clamoroso della storia del Novecento. Il furto della Gioconda di Leonardo Da Vinci dal Louvre di Parigi avvenne, infatti, nella notte del 20 agosto 1911. A commetterlo non fu né Arsenio LupinDiabolik ma un imbianchino italiano emigrato, Vincenzo Peruggia, nato a Dumenza, sopra Luino.

Partito da Luino per cercar fortuna, il Peruggia capitò a lavorare proprio nelle sale del museo più famoso al mondo e lì ebbe la folgorazione: riportare in Italia il dipinto; riuscire a rifarsi una vita e magari diventare una celebrità.

Approfittando della chiusura settimanale, attese nascosto che tutti gli addetti alla sicurezza si allontanassero e, complice l’oscurità della notte, riuscì a togliere dal muro la tela e nasconderla sotto l’ampia giacca per sgattaiolare da una porta secondaria. La storia racconta che tenne in casa (sotto il tavolo di cucina) il capolavoro leonardiano per due anni, mentre la polizia francese dava la caccia a tutti i possibili autori, sospettando anche del giovane poeta Apollinaire mentre un emigrante spagnolo, con qualche velleità d’artista, finì in gattabuia per qualche giorno. In commissariato registrarono il suo nome come Pablo Picasso.

Poi nel 1913, un fatto nuovo. Con le pseudonimo di Vincenzo Leonard, il Peruggia rispose ad un’inserzione dell’antiquario fiorentino Alfredo Geri che voleva organizzare in riva all’Arno una mostra d’arte. “Incontriamoci, ho una tela da mostrarle”. Geri si insospettì e partecipò al rendez vous, fissato in un albergo cittadino, con il direttore della Galleria Reggia di Firenze Giovanni Poggi. I due si trovarono così di fronte al celebre sorriso della Monna Lisa, il sorriso più ricercato dalle polizie d’Europa. A reggere la tela il baffo di Peruggia, e sotto il baffo, c’è da scommetterci, un sorrisetto beffardo.

Alla sorpresa dei suoi interlocutori si giustificò dicendo di aver rubato il quadro per restituirlo al suo Paese, anzi "per restituire il frutto dei saccheggi napoleonici". Non sapendo, come ancora oggi non sanno molti italiani, che la Gioconda è da sempre a pieno diritto francese, venduta per 4mila ducati a Francesco I dallo stesso Leonardo Da Vinci. Il Peruggia finì così in galera e la Gioconda, dopo essere stata esposta per qualche giorno agli Uffizi e poi a Roma e Milano, ritornò nelle sale reali del Louvre dove ancora oggi è custodita.

Fin qui la storia. Ma c’è anche una storia parallela non meno intrigante che riporta alle spy stories di Agatha Christie. Lo ha ricordato qualche giorno fa su La Nazione Mauro Della Porta Raffo (La Nazione, 7 agosto 2011) ponendosi e ponendo al lettore interrogativi inquietanti. Cosa fece il Peruggia in quell’arco di tempo di due anni tra il furto e il suo viaggio a Firenze? È vero che andò a Londra? È credibile la storia che qui si sia fatto duplicare il dipinto? È possibile che al gallerista fiorentino abbia consegnato la copia? E se così fosse, dove si trova oggi l’originale sorriso? Domande che rimangono senza risposta ma che fanno riflettere o anche solo a fantasticare.Gustoso leggere anche il racconto di Geminello Alvi su Il Corriere della Sera del 17 giugno 2011 che aggiunge mistero al mistero.

Di sicuro però c’è questo finale a sorpresa degno del miglior giallista. Il Peruggia, dopo aver scontato qualche anno di prigione tornò in libertà e morì d’infarto l’8 ottobre 1925, giorno del suo quarantaquattresimo compleanno mentre aveva in braccio la figlioletta. Non aveva con sé nessun documento e solo la moglie riconobbe il cadavere. “Ventidue anni più tardi, in Alta Savoia, venne però ritrovato il corpo di un uomo e i passanti in tasca trovarono una carta di identità. Si trattava di Vincenzo Peruggia, nato a Dumenza”.

Oggi a Firenze un comitato chiede alla Francia di poter ospitare ancora una volta il capolavoro di Leonardo. Chissà se ci daranno l’originale o una copia.

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