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Viaggio in Grecia

Et in arcadia ego
L’incontro con la Grecia porta con sé, per tutti gli uomini di cultura, un senso di soggezione, un intricato guazzabuglio di sentimenti d’esaltazione e delusione, di considerazioni artistico-culturali e di emozioni contraddittorie. In tempi che precedono la globalizzazione, in cui viaggiare era ancora un modo per conoscere culture diverse e diversi modi di vivere, il chiaro-scuro era ancora più marcato, soprattutto per un viaggiatore dalle capacità analitiche ed espressive come quelle del grande critico letterario Emilio Cecchi. A proposito dell’arte ateniese, egli afferma: “il genio attico prosperò da un robusto contemperarsi d’umanità e naturalità; dalla reciproca integrazione artistica di questi due principi”. Tale contemperanza sembra improntare tutta la realtà della Grecia che descrive, dove le immagini dei capri neri che si infrattano tra le rocce del paesaggio brullo, in un’atmosfera panica quasi sacrale, si contrappongono e si fondono a quelle chiassose da bazar dei villaggi e delle stazioni, dove contadini con visi “da sculture ellenistiche […] mettono sotto il naso mazzi di tacchini e gallinelle”. Atene invece già allora soffriva “delle tante influenze straniere che fatalmente […] dové accogliere” dopo la liberazione dagli ottomani. Se questi ultimi le lasciarono il retaggio di un’“aria orientale e turbolenta”, da fiabesco caravanserraglio, certamente accentuata dall’arrivo dei profughi dall’Anatolia, “una grecità internazionale e freddolosa”, che impronta il “cosiddetto stile neo-ellenico”, è il frutto dell’influenza tedesca, mentre la spinta demografica già avviava quell’“edilizia mastodontica” che la porterà al suo aspetto attuale. Diventa difficile anche per un grande critico estrapolare impressioni storico-artistiche da una globalizzazione che ha travolto irrimediabilmente l’autenticità dei luoghi. Tuttavia il genio dell’autore riesce a distillare dall’esperienza del viaggio l’origine della perfezione dell’arte attica, che sta nella fusione tra una spinta naturalistica e vitale e l’ispirazione collettiva e votiva degli artisti, non geni egocentrici, ma cittadini ben inseriti nel tessuto sociale e culturale di cui erano espressione.
 

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Et in arcadia ego
L’incontro con la Grecia porta con sé, per tutti gli uomini di cultura, un senso di soggezione, un intricato guazzabuglio di sentimenti d’esaltazione e delusione, di considerazioni artistico-culturali e di emozioni contraddittorie. In tempi che precedono la globalizzazione, in cui viaggiare era ancora un modo per conoscere culture diverse e diversi modi di vivere, il chiaro-scuro era ancora più marcato, soprattutto per un viaggiatore dalle capacità analitiche ed espressive come quelle del grande critico letterario Emilio Cecchi. A proposito dell’arte ateniese, egli afferma: “il genio attico prosperò da un robusto contemperarsi d’umanità e naturalità; dalla reciproca integrazione artistica di questi due principi”. Tale contemperanza sembra improntare tutta la realtà della Grecia che descrive, dove le immagini dei capri neri che si infrattano tra le rocce del paesaggio brullo, in un’atmosfera panica quasi sacrale, si contrappongono e si fondono a quelle chiassose da bazar dei villaggi e delle stazioni, dove contadini con visi “da sculture ellenistiche […] mettono sotto il naso mazzi di tacchini e gallinelle”. Atene invece già allora soffriva “delle tante influenze straniere che fatalmente […] dové accogliere” dopo la liberazione dagli ottomani. Se questi ultimi le lasciarono il retaggio di un’“aria orientale e turbolenta”, da fiabesco caravanserraglio, certamente accentuata dall’arrivo dei profughi dall’Anatolia, “una grecità internazionale e freddolosa”, che impronta il “cosiddetto stile neo-ellenico”, è il frutto dell’influenza tedesca, mentre la spinta demografica già avviava quell’“edilizia mastodontica” che la porterà al suo aspetto attuale. Diventa difficile anche per un grande critico estrapolare impressioni storico-artistiche da una globalizzazione che ha travolto irrimediabilmente l’autenticità dei luoghi. Tuttavia il genio dell’autore riesce a distillare dall’esperienza del viaggio l’origine della perfezione dell’arte attica, che sta nella fusione tra una spinta naturalistica e vitale e l’ispirazione collettiva e votiva degli artisti, non geni egocentrici, ma cittadini ben inseriti nel tessuto sociale e culturale di cui erano espressione.
 

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14×21

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