L’edizione raccoglie in ordine cronologico carte epistolari (lettere, cartoline illustrate e postali, biglietti postali) che ricoprono l’arco temporale di cinquant’anni (1936-1986). La storia di una profonda amicizia e della reciproca stima riemerge dagli scritti che l’uno dedica all’altro nel corso di un’intera vita. Nel rapporto epistolare Giorgio Caproni e Carlo Betocchi, reciproci interpreti ed “esortatori”, scoprono una piccola nuova terra nel grande universo della poesia: emerge, quasi una trama sottile, prima e oltre il sentimento di stima dell’uno verso l’altro, il bene stesso della poesia. Una poesia non libera, ma impacciata dal dolore, fatta di dolore come la vita. “Carissimo Carlo, la poesia è fatta di pazienza-di sofferenza-e forse io non soffro abbastanza (o non in modo abbastanza pulito)” (3 Ottobre 1953) e poi ad una certa distanza e in versi: “Mio caro Giorgio: ‘non voglio fare un verso/ che non abbia patito di persona;/ come stasera, al perso/ lume del giorno l’anima mi suona” (12 Maggio 1954) La poesia è dunque anche una forza e un’arte di vivere; I versi dei “veri poeti”, scrive Caproni, devono essere autentica poesia: strumenti per sospirare, per esclamare la gioia, il dolore, l’amore ed altre infinite e indefinibili cose o stati d’animo.
26,00 €
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L’edizione raccoglie in ordine cronologico carte epistolari (lettere, cartoline illustrate e postali, biglietti postali) che ricoprono l’arco temporale di cinquant’anni (1936-1986). La storia di una profonda amicizia e della reciproca stima riemerge dagli scritti che l’uno dedica all’altro nel corso di un’intera vita. Nel rapporto epistolare Giorgio Caproni e Carlo Betocchi, reciproci interpreti ed “esortatori”, scoprono una piccola nuova terra nel grande universo della poesia: emerge, quasi una trama sottile, prima e oltre il sentimento di stima dell’uno verso l’altro, il bene stesso della poesia. Una poesia non libera, ma impacciata dal dolore, fatta di dolore come la vita. “Carissimo Carlo, la poesia è fatta di pazienza-di sofferenza-e forse io non soffro abbastanza (o non in modo abbastanza pulito)” (3 Ottobre 1953) e poi ad una certa distanza e in versi: “Mio caro Giorgio: ‘non voglio fare un verso/ che non abbia patito di persona;/ come stasera, al perso/ lume del giorno l’anima mi suona” (12 Maggio 1954) La poesia è dunque anche una forza e un’arte di vivere; I versi dei “veri poeti”, scrive Caproni, devono essere autentica poesia: strumenti per sospirare, per esclamare la gioia, il dolore, l’amore ed altre infinite e indefinibili cose o stati d’animo.
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