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Apprezzati da Soffici, che ne fu il primo estimatore, i monotìpi di Sigfrido Bartolini (Pistoia 1932-2007) rappresentano un episodio vitalissimo e singolare dell’arte italiana, soprattutto degli anni ’40 e ’50 del Novecento. Si tratta, in sintesi, di dipinti a olio su vetro che ancora freschi sono impressi (in unica copia) sul cartoncino umido. La loro studiata immediatezza, insieme colta e popolare, si riallaccia a quel primitivismo, ispirato all’arte strapaesana di tutti i tempi ma anche al Doganiere Rousseau, che in Italia ebbe proprio in Soffici il suo primo divulgatore. Bartolini ne rinnova le istanze in fogli di indimenticabile intensità, qui raccolti per la prima volta organicamente in un catalogo generale. I lavori di Bartolini, scrive Elena Pontiggia, ci appaiono nel loro insieme come “il frutto di una raffinatezza popolaresca, di una tradizione che ha il sapore di una nascita, di una fedeltà al passato che non si traduce nel formalismo di rituali estinti, ma nell’immediatezza di cose vive. Per questo dalla loro felicità malinconica, e dalla loro facilità difficile, abbiamo ancora molto da imparare”.
Il catalogo, preceduto da presentazioni di Ivano Paci e Gabriele Zollo e dai testi critici di Elena Pontiggia e Siliano Simoncini, riproduce a colori oltre cento opere più diverse altre, racchiuse nelle sezioni Monotipi non rintracciabili e Disegni di studio. Chiude un’ampia bio-bibliografia illustrata.
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